Skip to content
Pubblicato inSalute

Research Digest n°1 – Ottobre 2023

Comincia con questo numero l’esame mensile della letteratura scientifica, alla ricerca di risultati particolarmente significativi e di interesse per la comunità medica. A cura del Direttore Scientifico del Santagostino, Enrico Bucci

Intelligenza artificiale ed elettrocardiogramma

↑ top

Innanzitutto, vorrei segnalare un articolo di interesse per chiunque pratichi, da operatore o interprete, l’elettrocardiografia. Un paio di mesi fa, è stato pubblicato su Nature Medicine uno studio che conferma in maniera autorevole il ruolo di supporto che gli algoritmi di machine learning possono avere nell’interpretazione del dato strumentale.

Leggiamo, in particolare, che è stato “sviluppato e convalidato un algoritmo di apprendimento automatico per la diagnosi ECG di infarto miocardico da occlusione coronarica (OMI) in pazienti con dolore toracico reclutati da più siti clinici negli Stati Uniti. Questo modello ha superato i risultati ottenuti dai medici praticanti e di altri sistemi di interpretazione commerciali. Il punteggio di rischio per infarto da occlusione coronarica derivato dall’uso dell’algoritmo, ha fornito una precisione di esclusione superiore per l’OMI, aumentando la sensibilità di ~28 punti percentuali e la precisione di ~32 punti percentuali rispetto agli standard di riferimento. Se combinato con il giudizio del personale di emergenza esperto, il nostro punteggio di rischio per infarto miocardico da occlusione coronarica derivato ha aiutato a riclassificare correttamente un paziente su tre con dolore toracico”.

Il neretto è a sottolineare come sia chiaramente mostrato il valore integrativo e di supporto, non sostitutivo, del personale medico, a miglior dimostrazione di quanto ogni sistema di intelligenza artificiale è e deve rimanere uno strumento, non dissimile da altri cui si è abituati; l’importante è apprenderne l’uso utile, verificandone la validità come sempre è doveroso.

 

Pensieri negativi e salute mentale

↑ top

Passando ad un settore completamente diverso, vorrei sottolineare un interessante e soprattutto metodologicamente solido risultato ottenuto da ricercatori dell’Università di Cambridge. Le terapie convenzionali spesso esortano le persone affette da ansia, depressione, stress post traumatico a evitare di sopprimere i pensieri negativi che si affacciano perché le intrusioni potrebbero tornare con maggiore intensità e frequenza, peggiorando i disturbi. In uno studio pubblicato lo scorso settembre, si è dimostrato che questa convinzione comune potrebbe essere completamente sbagliata. I ricercatori hanno istruito 120 volontari provenienti da molte diverse nazioni a sopprimere i pensieri sugli eventi negativi e sulle fonti di ansia che li preoccupavano e hanno scoperto che non solo a livello psicologico tali pensieri sono diventati meno vividi, ma soprattutto che la salute mentale dei partecipanti, misurata con gli usuali strumenti psicometrici, è statisticamente migliorata di una quantità anche clinicamente non trascurabile. Sebbene ai partecipanti non sia stato chiesto di continuare a praticare la tecnica loro insegnata, molti di loro hanno scelto di farlo spontaneamente. Quando i partecipanti sono stati contattati dopo tre mesi dalla conclusione dello studio, si è scoperto che i benefici in termini di riduzione dei livelli di depressione e di emozioni negative continuavano per tutti i partecipanti, ed erano più pronunciati tra quei partecipanti che continuavano a utilizzare la tecnica nella loro vita quotidiana.

I risultati dello studio sono stati pubblicati su Science Advances; naturalmente, considerata la dimensione del campione ed il verso contrario all’idea comunemente accettata, sarà necessario ulteriore lavoro per confermare i risultati. Se questa conferma dovesse arrivare, si affermerebbe il concetto che sopprimere attivamente pensieri negativi, paure ed ansie potrebbe sia essere praticabile attraverso tecniche specifiche, che utile in termini di benessere psichico generale.

Androgeni e melanoma: nessuna correlazione

↑ top

Infine, cambiando ancora argomento, vorrei portare l’attenzione del lettore su un risultato che può essere considerato ormai definitivo, vista l’ampiezza dello studio, per quanto riguarda l’annosa questione della relazione fra livello di androgeni e sviluppo di melanoma negli uomini. Come è noto, la calvizie è associata sia ad un elevato livello di androgeni, che ad un rischio più elevato di melanoma; alcuni studi sembravano supportare un meccanismo molecolare che connetteva direttamente alcuni androgeni, e particolarmente il testosterone, allo sviluppo di cancri alla pelle, così che calvizie e melanoma avrebbero potuto essere due conseguenze indipendenti del livello elevato di ormoni simili o coincidenti. Questo avrebbe spiegato la relazione fra rischio più elevato di melanoma negli uomini calvi. Mettendo alla prova questa relazione tramite analisi di randomizzazione mendeliana, utilizzando dati genetici provenienti da recenti meta-analisi esclusivamente maschili di melanoma cutaneo (12.232 casi; 20.566 controlli) e tumori dei cheratinociti (KC) (fino a 17.512 casi;> 100.000 controlli), seguita da analisi RM stratificata per siti corporei, non è stata trovata alcuna correlazione con il livello di androgeni; modelli multivariati hanno rivelato che questa relazione ipotizzata in precedenza era fortemente confusa dai polimorfismi a singolo nucleotide coinvolti nei meccanismi molecolari della pigmentazione. Le analisi stratificate per localizzazione del melanoma hanno inoltre specificamente rivelato che l’esposizione al sole sul cuoio capelluto, piuttosto che agli androgeni, è il principale fattore di rischio per i soggetti calvi. Questo risultato definisce una profilassi relativamente semplice per i calvi, rispetto al caso in cui il melanoma fosse stato guidato nel suo sviluppo dagli androgeni; dettagli ulteriori sono presentati nel lavoro pubblicato il 3 ottobre su Nature Communications.