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Pubblicato inSalute

Le cose da non dire ai bambini

Essere genitori non è sempre facile, soprattutto nelle situazioni complicate. Per quanto capiti a tutti di sbagliare o arrabbiarsi, ci sono alcune cose che è meglio non dire ai bambini. Vediamo quali.

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Ci sono cose da non dire ai bambini? E se sì, quali? Essere genitori non è un compito facile, e alcune situazioni comunicative possono essere molto difficili da affrontare.

La dott.ssa Mazzarini, psicologa e psicoterapeuta del Santagostino, ci dice quali sono le frasi e le comunicazioni da evitare, offrendo importanti suggerimenti per essere genitori più consapevoli, per imparare ad affrontare determinate situazioni, mantenendo un rapporto sano e amorevole con i propri bambini. 

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Cosa non bisogna mai dire a un bambino?

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Se parliamo di cosa non dire a un bambino rispetto agli eventi della vita o alle situazioni che accadono all’interno del nucleo familiare, probabilmente non ci sono cose regole specifiche e valide per ogni situazione.

Sicuramente, non nascondere le cose ai bambini è di estrema importanza: fin da piccoli bisogna che sentano di essere coinvolti nella vita di famiglia (con parole giuste, buon senso e modalità di linguaggio idonee e diverse per ogni età). È un loro diritto ed è fondamentale che i bambini vivano l’esperienza di potervi partecipare. 

La sensazione che si sviluppa è quella, infatti, di essere degno di fiducia: un aspetto fondamentale perché è proprio in famiglia che il bambino impara la verità, attraverso l’autenticità comunicativa dei genitori.

Si tratta di un aspetto essenziale, dal momento che i bambini – anche se non sembra – vivono e assorbono tutte le informazioni. Spesso sanno molte cose o sanno già tutto, a volte anche molto meglio degli adulti. Dunque, piuttosto che creare vuoti o buchi narrativi, bisogna spiegare ciò che accade, mettendo in gioco il coraggio adulto per riconoscere, nominare e spiegare ciò che succede nella vita, di cui il bambino stesso fa parte.

Come dire le cose ai bambini?

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È da sottolineare che bisogna dire le cose rispettando l’età del bambino. Ci sono modalità idonee e specifiche che cambiano con la crescita del bambino e che si possono sperimentare, soprattutto attraverso il buon senso e la rassicurazione. Dire la verità serve a costruire la fiducia. Se sa che gli si dice la verità, il bambino sentirà di poter fare le sue domande, in futuro. A volte, quando la verità è scomoda o troppo pensante, bisogna capire come accoglierla ed essere adulti autentici anche con sé stessi, avere delicatezza e accortezza.

Quando è il bambino stesso a porre delle domande, non va preso per forza alla lettera, ma sicuramente va rassicurato, usando risorse adulte quali: sensibilità, cura, prudenza e un rapporto sereno con la realtà.

Perché i bambini si comportano male?

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Tutti i bambini si comportano male, a volte. E a loro volta, tutti i genitori si trovano fortemente sotto pressione o in condizioni di stress, rischiando di non riuscire a gestire al meglio il comportamento negativo del proprio bambino. Non è raro, per un genitore, arrivare a perdere il controllo, e dire e fare cose di cui poi ci si pente, come ad esempio: alzare la voce, rimproverare, dare punizioni, sculacciate etc. In queste situazioni, è normale non sapere bene cosa fare: il rischio è quello di perdere di vista la possibilità di operare scelte più ragionate anche verso i propri bambini. 

Quando dare una punizione?

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In generale, non serve punire: ci vuole pazienza e buon senso. I bambini a volte mettono in atto comportamenti di sfida per il bisogno di sperimentare che il genitore è lì. Quando il bambino lo mette in discussione con comportamenti errati o provocatori, è per verificare che il genitore non se ne andrà e che il rapporto non si frantumerà in mille pezzi. Anzi, spesso è proprio perché il bambino vive un attaccamento sicuro verso il genitore, che non ha paura di metterlo in discussione. Ricordiamo che è il comportamento a essere sbagliato, e non il bambino.

Anche in questo senso, il bambino va rassicurato: il “Non ti voglio più bene” detto al genitore dal bambino arrabbiato, o una risposta scocciata da parte di un figlio che di solito è sempre gentile, o il bambino che tiene il muso, sono ricatti emotivi: il bambino lo usa per mettere alla prova l’adulto, e quest’ultimo deve riconoscerlo e saper essere presente. Cogliere questi segnali richiede al genitore di essere connesso emotivamente, e a porsi alcune domande: “Avrà qualche bisogno?”, “È successo qualcosa?”. L’obiettivo è quello di cercare attivamente di indirizzare correttamente la situazione.

Come dare regole a un bambino?

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È necessario che i genitori diano regole e codici chiari che possano essere rispettati da ambo le parti, per gestire le situazioni difficili. I bambini hanno bisogno di rassicurazione e serenità, ma anche di regole, di un ambiente prevedibile e di sapere cosa devono aspettarsi da mamma e papà. Difficilmente comprenderanno le regole o coopereranno con il genitore se si sentiranno agitati, scossi o arrabbiati. Il genitore, quindi, in prima istanza, deve poter entrare in sintonia con suo figlio.

Non punire non significa essere permissivi, ma piuttosto creare un clima utile, indirizzato a una connessione empatica, che deve andare di pari passo alla creazione di regole e limiti precisi: alla costruzione di codici chiari.

La connessione empatica con il proprio bambino è un aspetto fondamentale per una crescita sana: significa diventare capaci di entrare in sintonia con le emozioni del bambino riconoscendole, accogliendole e restituendole in maniera più evoluta.

In ultimo, una cosa fondamentale: invece di punire vietando l’uso dei dispositivi elettronici o dei giochi, è importante poter lavorare sulla gratificazione basata su esperienze migliori e più serene. Ad esempio, potrebbe essere utile stimolare il bambino attraverso situazioni sociali di scambio.

Come dire di no a un bambino?

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Chiaramente, si deve potere dire no al comportamento negativo del bambino. Ma il “no” deve essere rivolto solo al comportamento e non al bambino stesso, questo va sottolineato. Quindi come farlo? 

Quando il genitore è efficacemente sintonizzato con il bambino, questo si calmerà perché si sentirà rassicurato e legittimato nella propria emotività. Allora, si potrà discutere con lui su quanto accaduto, facendogli capire quale comportamento vada bene e quale no. 

In questo modo, si offrirà al bambino l’occasione di riflettere su quello che lui o lei ha fatto e non sentirà colpa o rimorso per la brutta azione commessa.

A questo proposito, è importante essere chiari, e non confondere i bambini: quando è no, è no. Fino a quando il bambino non cresce dal punto di vista della comprensione cognitiva ed emotiva (almeno fino alla fine delle scuole elementari), è preferibile non discutere con lui circa le scelte prese dagli adulti, ma semplicemente spiegargliele. Se il bambino si sente accolto e percepisce il genitore sintonizzato con i suoi bisogni, si fiderà di lui e della sua parola e accoglierà la spiegazione di quel “no”. 

Certe cose, quindi, vanno dette con fermezza proprio perché il bambino non può dire la sua, almeno su precise decisioni o regole di buon senso, educazione e rispetto, prese dal genitore.

A volte, infine, per spiegare i “no”, l’adulto può usare strumenti come libri specifici, o bambole, giocattoli, adeguati all’età, che sono molto utili per chiarire o rispondere alle loro domande e/o frustrazioni (anche lecite).

Perché alcune cose non vanno dette ai bambini?

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Il bambino in modo inconsapevole assorbe dentro di sé aspetti emotivi e comportamentali dei genitori, che sono le sue figure d’attaccamento. Queste figure esercitano quindi un’influenza importante sulla sua formazione emotiva, cognitiva e comportamentale, per questo la sintonia è fondamentale. 

Sintonizzarsi emotivamente con il proprio bambino significa riconoscere le sue emozioni, anche attraverso segnali non verbali, come il contatto fisico, l’espressione facciale e un ascolto non giudicante, per quanto irritante o spiacevole sia quello che i figli fanno.

Mediante questi messaggi non verbali, il bambino elabora alcune convinzioni che riguardano sé stesso, gli altri e il mondo circostante. Più il genitore riesce a essere sintonizzato, più il bambino sarà sereno, e percepirà un senso sicuro di sé, degli altri e del mondo circostante. Se, invece, la connessione emotiva fallirà per via di malesseri dell’adulto, il bambino riceverà messaggi incoerenti, ambivalenti, a volte vissuti con il senso di non essere degno di amore. 

Tali messaggi diventano quindi ingiunzioni, dovuti a malesseri dell’adulto, e più precisamente della sua parte infantile, correlati alle sue sofferenze personali: infelicità, angoscia, delusione, rabbia, frustrazione, desideri segreti.

Frasi da non dire ai bambini

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È all’interno di questa cornice che si inseriscono quindi “Le cose da non dire ai bambini” e che abbiamo a che fare con quelli che potrebbero diventare sfortunatamente messaggi di disamore. Queste comunicazioni sono spesso implicite, inconsce, che il bambino assorbe facendole proprie e che possono diventare per lui un fattore di rischio, per la sua autostima e per il suo senso di amabilità. Si tratta di messaggi relativi alla poca connessione emotiva del genitore con il bambino: il genitore è presente fisicamente ma non riesce a esserci emotivamente. Questi messaggi sono spesso percepiti dal bambino come divieti:

  • Non fare
  • Non essere
  • Non avvicinarti
  • Non essere importante
  • Non crescere
  • Non farti sentire
  • Non esprimerti
  • Non far parte.

Il divieto di esplorare il mondo

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Alcuni dei messaggi da evitare sono quei divieti circa l’esplorazione del mondo da parte del bambino. Questi divieti sono espressi solitamente da genitori iperprotettivi o fobici che hanno paura e che quindi non riescono a permettere al bambino di fare cose normali, come vivere l’ambiente circostante. Alcuni esempi tipici sono:

  • Non correre
  • Non fare questo
  • Non andare lì 
  • Pensaci bene

In questi casi, il bambino non si sentirà supportato e tenderà a pensare che ogni cosa che fa può essere sbagliata. Si sentirà insicuro, cercando in altri la sicurezza per ogni scelta.

Messaggi di disamore

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Da evitare sicuramente sono tutti quei messaggi legati alla fatica o alla paura del genitore di entrare in intimità con il proprio bambino, scoraggiandolo dall’avvicinarsi fisicamente. Di conseguenza, ci saranno anche poche carezze, o contatti fisici e il piccolo penserà di non essere importante. 

A tal proposito, il bambino non pensa che il genitore sia in sofferenza, o che sta magari attraversando un momento difficile con sé stesso o di fatica (forse lo capirà da adulto dopo profonde riflessioni). Pensa solo che lui, come bambino, non si merita il suo amore. 

Questo tipo di comunicazioni minano fortemente l’autostima e generano paura nel bambino, che percepirà che il rapporto con il proprio genitore è fragile e può andare in mille pezzi da un momento all’altro. 

Il piccolo che subisce questo tipo di comunicazioni, non si sentirà sicuro, e non sfiderà i genitori con comportamenti sbagliati o ricatti emotivi, come prove di amore. Al contrario, diventerà quello che nel linguaggio comune viene descritto come un “bravo bambino”. Non disturba, non genera fatica nel genitore, non lo perturba. 

In psicologia, questo comportamento si chiama iperadattamento: dal momento che il bambino pensa di non meritare l’amore del genitore, non sentendolo connesso emotivamente a sé e facendosene una colpa, sente di doversi guadagnare il suo amore. Imparerà che un modo per farlo è quello di diventare bravo, adesivo all’adulto, rispondente ai bisogni altrui e non dei propri (se il bambino pensasse a sé stesso, rischierebbe di perdere tutto). Sono i classici bambini che “si vedono ma non si sentono”, come si suol dire. È importante sottolineare che dal momento che non esiste il bambino cattivo, non esiste neanche il bravo bambino.

Messaggi violenti

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È ovvio che ogni comunicazione violenta, volta a far male, umiliare, provocare paura o angoscia, oltre che sbagliata, è destinata a fallire. In questo tipo di comunicazioni, rientrano le urla e le minacce. La violenza non è mai una risposta e questi messaggi sono punizioni che generano effetti enormemente controproducenti.

Frasi vuote

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Esistono poi comunicazioni verbali che il genitore dà, spesso senza accorgersene, e che possono essere definite frasi vuote. Sono, infatti, frasi senza contenuto, ma che denotano una grande fatica del genitore che, per alleggerirsi, si esprime attraverso questo genere di esternazioni. Ecco qualche esempio:

  • Non piangere, bisogna essere forti
  • Come ti faccio, ti distruggo
  • Non fare questo/quello sennò Gesù non ti vuole più bene
  • Piantala, se no vedi!
  • Questo è un colore/gioco/lavoro da maschio/femmina
  • Non fare quella faccia che diventi brutta/o
  • Fallo per me.

Come capire se un bambino è cattivo?

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I bambini non sono bravi o cattivi. Possono esserci inclinazioni, passioni, scoperte esplorazioni, ma essere un cattivo o un bravo bambino non vuol dire nulla. Questo è un aspetto importantissimo da definire. Espressioni come “Fare il bravo” o “Tu non sei bravo” sono solo giudizi che l’adulto emette, e che il bambino rischia di appiccicarsi addosso, perché hanno a che fare con quello che il genitore si aspetta dal bambino. 

In altre parole, il bambino pensa che se fa il bravo, funziona; se non lo è, non è meritevole di amore.

Il bravo bambino è quell’adulto che si ricorda di essere stato un bambino che non piangeva, che non disturbava, che stava a posto. Ma un bambino che non piange non è un bambino bravo: è un bambino che capisce che piangere non servirebbe a nulla e quindi smette semplicemente di farlo, aderendo a ciò che ci si aspetta da lui. Rispondendo alle aspettative del genitore, penserà di guadagnarsi il suo amore. In altre parole, il bambino fa quello che crede sia utile per farsi amare: quello che serve all’altro, ma non allo sviluppo di sé stesso. Per fare ciò si immobilizza, non genera fatiche nell’adulto, perturbazioni, stress. Questo è appunto l’iperdattamento, come abbiamo detto in precedenza, e genera senso di colpa nel bambino.

Ci vuole un bimbo felice, non bravo. E perciò ci vuole un genitore felice, non perfetto, o sempre capace. 

Cosa significa? Non consegnare ai figli l’aspettativa di farci felici. Per questo, è importante che i genitori siano adulti appagati, con una vita soddisfacente, compiuta e felice.

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Come diventare dei buoni genitori?

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Non esistono regole precise su cosa vada detto o non detto ai bambini, né manuali d’istruzioni per essere buoni genitori. La genitorialità non è un compito facile. 

Come adulti, bisogna essere indulgenti con sé stessi. Quando si fatica, è bene esserne consapevoli, e interrogarsi sui motivi. Questa è la cosa più importante: la consapevolezza. Allora si può provare a fare qualcosa, senza far pesare la fatica sul bambino. È possibile affidarsi al terapeuta, per capire quale sia l’intervento migliore per tutti: per il proprio bimbo sicuramente, ma anche per i genitori. Soprattutto per capire le fatiche genitoriali a monte, lecite e legittime, che, se accolte all’interno di percorsi terapeutici, si supportano e trasformano. 

Essere felici, diventare genitori empatici e più sereni insegnerà ai figli la libertà di essere ciò che vogliono, vivendo per sé stessi e non per fare contenti mamma e papà.

Questo può avvenire quando i genitori sono connessi con il proprio io, quando sono loro stessi. Può succedere di deludere le aspettative (sia come genitori che come figli), fa parte della normalità, l’importante è rimanere reali e autentici. 

Allora, il nucleo familiare sarà appagato, perché ognuno esisterà nel proprio essere (sia genitore che bambino). Non importa se alcune cose verranno fatte meno bene o male. Essere un buon genitore vuol dire essere un genitore felice, che sta bene con sé stesso e si preoccupa anche del proprio benessere. Questo permetterà di stare bene anche con il proprio bambino.