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Vitamina D: ok agli integratori, ma solo sotto controllo medico

Bastano 30 minuti al sole per integrare la dose giornaliera di vitamina D. Ma cosa fare in caso di carenza? Gli integratori sono davvero così utili? Le risposte nell’articolo di Santagostino Monitoring

“Dottore, mi consiglia un integratore di vitamina D efficace?”. “Certamente, si chiama sole!” Botta risposta immaginario, ma nemmeno troppo, visto che la risposta del nostro ipotetico medico è in effetti corretta. 

Come si assume la Vitamina D e a cosa serve?

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Il sole infatti è la principale sorgente indiretta di vitamina D, sebbene essa sia presente anche in alcuni alimenti. Alle nostre latitudini, circa l’80% della vitamina D deriva dall’irradiazione solare e solo un 20% dall’alimentazione. È proprio grazie ai raggi UVB, che per il loro spettro di energia sono in grado di penetrare fino all’epidermide (e potenzialmente di causare danni al nostro DNA in assenza di protezioni adeguate), che la proteina 7-DHC, presente nella nostra pelle, viene convertita in vitamina D3, la forma attiva della vitamina D (1). Una eventuale carenza di vitamina D può essere quindi causata da un’insufficiente densità di questo precursore della vitamina, o da una quantità di UVB insufficiente – o di UVB non della lunghezza d’onda adeguata- per la sintesi della vitamina D.

La vitamina D, chiamata quindi anche vitamina del sole, svolge un rilevante ruolo nella mineralizzazione delle ossa, stimolando l’assorbimento nell’intestino di calcio e fosforo: è fondamentale per la crescita e il rimodellamento delle ossa. Livelli ottimali di vitamina D aiutano ad esempio a prevenire il rachitismo nei bambini e l’osteoporosi nell’anziano. È inoltre importante nella regolazione delle nostre risposte immunitarie, regola l’espressione di molti geni coinvolti nella differenziazione cellulare e contribuisce a una normale contrattilità muscolare. 

Nonostante viviamo in un paese pieno di sole, la carenza di vitamina D è un problema anche nell’area mediterranea, per quanto possa sembrare paradossale (2). Si è riscontrata infatti una maggior diffusione dell’ipovitaminosi D nei paesi dell’Europa meridionale e Medio Oriente rispetto al Nord Europa, fenomeno che prende il nome di “paradosso scandinavo”. La scarsa esposizione solare, l’uso di protezioni solari e lo scarso consumo di cibo ricco o arricchito in questa vitamina ne sono le cause più probabili. La prevalenza del deficit aumenta, inoltre, con l’avanzare dell’età e in caso di obesità. Da tenere in considerazione anche i casi in cui aumentano i fabbisogni giornalieri, ovvero anziani, donne in gravidanza e allattamento. 

L’indicatore dello status vitaminico utilizzato è il livello della 25(OH)D circolante, che riflette sia la quantità di vitamina D prodotta dal nostro organismo tramite l’esposizione al sole sia quella assunta tramite l’alimentazione.

Le linee guida dell’AIFA

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Le linee guida riguardanti le dosi ottimali della vitamina D variano da paese a paese, poiché la nostra comprensione delle implicazioni cliniche e biologiche di questa vitamina è ancora incompleta. In Italia, la prescrizione a carico del SSN dei farmaci per la prevenzione e trattamento della carenza di vitamina D negli adulti (over 18) è regolamentata attraverso una Nota AIFA pubblicata nella Gazzetta Ufficiale nel 2019 e successivamente aggiornata nel 2023 in base alle nuove evidenze scientifiche.

L’AIFA ha stabilito differenti livelli di soglia per iniziare una eventuale terapia in soggetti asintomatici e sani, in presenza di sintomi o altre condizioni di interesse, o in caso di gravidanza o osteoporosi (3). 

L’uso di integratori alimentari diventato molto popolare e si sono diffusi anche alcuni “falsi miti” sui benefici della vitamina D, compreso quello che avesse un qualche effetto protettivo nel contagio da COVID-19. In molti casi viene assunta in via preventiva anche in assenza di patologie specifiche. L’avere bassi livelli di vitamina D è stato correlato a una maggiore insorgenza di patologie croniche, come l’ipertensione arteriosa (ossia la “pressione alta”), diabete, malattie cardiovascolari e anche alcuni tumori. In conseguenza di queste affermazioni, mai provate scientificamente, il consumo di vitamina D ha avuto un aumento considerevole. 

Stando ad un recente ampio studio clinico (4), più di un terzo degli over 60 negli Stati Uniti assume integratori di vitamina D (si escludono qui i complessi multivitaminici). Secondo il progetto VITAL, il più importante e vasto trial dedicato finora allo studio degli effetti della somministrazione di vitamina D (circa 26.000 partecipanti over 50 con un follow-up di vari anni), e gli studi ad esso correlati, tramite la somministrazione di vitamina D (e omega 3) o placebo in doppio cieco, non si è riscontrata alcun effetto della vitamina D nella prevenzione di cancro, disturbi cardiovascolari, prevenzione di cadute, e varie altre patologie. Inoltre, uno studio ancillare al trial VITAL non ha trovato una riduzione delle fratture in caso di somministrazione di vitamina D, su un follow-up mediano di più di 5 anni, contrariamente a quanto si poteva aspettare. Data infatti la nota relazione tra vitamina D e rachitismo nei bambini, sembrava logico collegarne la carenza all’osteoporosi. 

Proprio a seguito di questo studio, l’Aifa, l’Agenzia italiana per il farmaco ha stabilito – nella nota 96/2023,- che “l’assunzione di vitamina D per diversi anni non è in grado di modificare il rischio di frattura nella popolazione sana, senza fattori di rischio per osteoporosi”.

“Quindi gli integratori, soprattutto se autosomministrati, e non scelti accuratamente, potrebbero essere poco utili”, spiega Francesca Michelacci, nutrizionista del Santagostino.  “L’Aifa nella nota di aggiornamento ha focalizzato la sua attenzione sulla ipercalcemia ma è stato ritenuto un evento poco frequente e quindi non rischioso. I dati scientifici non destano un allarme immediato, ma oltre certe dosi aumenta il rischio di eventi avversi senza avere la sperata azione protettiva. 

Nel caso di carenze documentate le linee guida suggeriscono un carico iniziale seguito da un mantenimento di 1000-2000 UI/ al giorno (UI = unità internazionali, 1 UI corrisponde a 0.025 µg di vitamina D)

(Secondo le linee guida dell’EFSA il dosaggio massimo sicuro giornaliero che può essere assunto senza controllo medico è fissato come limite MASSIMO a 4000 UI al giorno, oltre il quale si parla di dosaggio farmacologico, che va assunto sotto stretto controllo medico).

I consigli della nutrizionista

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L’approccio più fisiologico della supplementazione con vitamina D è quello della somministrazione giornaliera. Una volta raggiunti i livelli desiderati, vanno valutati schemi di somministrazione per il mantenimento, eventualmente intervallati con una pausa estiva. Da preferire il colecalciferolo, perché è la forma di vitamina D con maggior profilo di sicurezza e alta tollerabilità, oltre ad essere la molecola più studiata. 

“Per avere una produzione efficiente di Vitamina D a livello cutaneo – aggiunge Michelacci -, ci si dovrebbe esporre per almeno 30 minuti al giorno (volto, tronco e arti), preferibilmente nelle ore centrali della mattina. Da sottolineare che i fototipi scuri producono meno vitamina D e che l’utilizzo di lozioni solari (in particolare ad alto fattore protettivo) inibisce l’attivazione della vitamina D. La capacità di sintesi, inoltre, si riduce molto con l’avanzare dell’età. Dalla dieta possiamo avere solo un piccolo aiuto per aumentare il livello di vitamina D. Le principali fonti alimentari sono: olio di fegato di merluzzo, pesci grassi (sgombro, aringhe, tonno, salmone), ostriche e gamberi, tuorlo d’uovo, funghi, fegato, formaggi grassi e burro e alcuni alimenti addizionati, come latte e cereali”. 

Integrazione sì dunque, preferibilmente dopo aver verificato eventuale carenza. E l’unico modo per accertare tali condizioni è un prelievo del sangue: “Il prelievo sanguigno”, conclude la dottoressa Michelacci, “può fornire informazioni precise sul livello di vitamina D nel corpo e aiutare a identificare la necessità di integrazione. Evitare il fai da te quando si tratta della salute è sempre fondamentale. Consiglio quindi un prelievo e una discussione con il proprio medico prima di qualunque decisione su integratori o simili, anche perché una carenza di vitamina D può in alcuni casi rivelare in realtà la presenza di condizioni sottostanti che possono influenzare il metabolismo o l’assorbimento della vitamina stessa. Ad esempio, alcune malattie renali o intestinali possono influire sull’equilibrio della vitamina D nel corpo, così come la celiachia”.

Fonti:

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  1. https://www.skincancer.org/blog/sun-protection-and-vitamin-d/#:~:text=When%20your%20skin%20is%20exposed,active%20form%20of%20vitamin%20D.
  2. Díaz-Rizzolo, D.A., Kostov, B., Gomis, R. et al. Paradoxical suboptimal vitamin D levels in a Mediterranean area: a population-based study. Sci Rep 12, 19645 (2022). https://doi.org/10.1038/s41598-022-23416-1
  3. https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1728113/nota-96.pdf
  4. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMe2205993