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Pubblicato inMonitoring

Research Digest n°2 – Novembre 2023

Continua l’esame mensile della letteratura scientifica, alla ricerca di risultati particolarmente significativi e di interesse per la comunità medica. A cura di Enrico Bucci, il Direttore Scientifico del Santagostino

Pandemie zoonotiche: facciamo il punto

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Vale la pena, innanzitutto, di considerare un notevole lavoro che prova ad affrontare in maniera generale il problema delle future pandemie zoonoticheUna delle questioni più discusse durante la pandemia di SARS-CoV-2 riguarda l’eccezionalità degli eventi appena trascorsi, e se si debba attendere un aumento di epidemie causate dalle malattie zoonotiche, attraverso eventi noti come “spillover”, per esempio a causa dei cambiamenti climatici e della deforestazione. 

Per tenetare di fornire una prima risposta, in un nuovo lavoro, appena pubblicato su BMJ Global Health, sono state esaminate le tendenze storiche di quattro particolari agenti patogeni virali.

Questi erano i filovirus, che includono il virus Ebola e il virus Marburg, il coronavirus SARS-1, il virus Nipah e il virus Machupo, che causa la febbre emorragica boliviana. Lo studio non ha incluso il COVID-19, che ha causato la pandemia globale nel 2020 ed è probabilmente originato dai pipistrelli. Sono state prese in considerazione più di 3.150 epidemie tra il 1963 e il 2019, identificando 75 eventi di spillover in 24 paesi. Sono state in particolare coperte le epidemie segnalate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, focolai verificatisi dal 1963 che hanno causato la morte di 50 o più persone ed eventi storicamente significativi, tra cui le pandemie influenzali del 1918 e del 1957.

I ricercatori hanno affermato che le epidemie sono aumentate di quasi il 5% ogni anno tra il 1963 e il 2019, con un aumento delle morti del 9%. Le cifre sono probabilmente sottostimate a causa dei criteri rigorosi di inclusione per gli agenti patogeni nell’analisi e per l’esclusione del COVID-19.

Le prove suggeriscono dunque che le recenti epidemie scatenate da spillover zoonotici “non sono un’eccezione o un cluster casuale”, ma seguono “una tendenza di decenni in cui le epidemie causate da spillover sono diventate sia più grandi che più frequenti”. Se questa tendenza continuerà invariata, particolarmente a causa della incapacità delle nostre società di attrezzarsi in maniera permanente sia per la sorveglianza che per il primo intervento di fronte a focolai di vecchi e nuovi agenti infettivi, i ricercatori concludono che, per il 2050, potremmo avere 12 volte il numero di morti osservato nel 2020 per gli agenti infettivi considerati nel lavoro – senza considerare altri patogeni come SARS-CoV-2 o patogeni di nuova insorgenza.

L’intelligenza artificiale nella diagnosi e nella prognosi del glaucoma

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Cambiando argomento, val la pena di esaminare un interessante lavoro appena uscito su British Journal of Ophtalmology, che fa il punto sulle applicazioni di Intelligenza Artificiale (IA) nella diagnosi e nella prognosi del glaucoma.

Come è noto, è particolarmente difficile per i medici sapere se e quando le persone con segni sospetti di danni precoci al nervo ottico, ma senza la caratteristica diagnostica principale dell’elevata pressione interna all’interno dell’occhio, chiamata pressione intraoculare o PIO, svilupperanno il glaucoma e rischieranno di perdere la vista. 

Con l’obiettivo di utilizzare l’IA per cercare di colmare questa lacuna, un gruppo di ricercatori ha esaminato le informazioni cliniche di 12.458 occhi con segni precoci sospetti di glaucoma. Tra questi, si sono concentrati su 210 occhi che avevano progredito verso il glaucoma e 105 che non lo avevano fatto, tutti monitorati ogni 6-12 mesi per almeno sette anni. Hanno quindi utilizzato segnali di allarme nelle immagini retiniche scattate durante il periodo di monitoraggio, oltre a 15 caratteristiche cliniche chiave, per produrre una serie di combinazioni “predittive”, che sono state quindi inserite in tre classificatori di apprendimento automatico, ovvero algoritmi che ordinano o categorizzano automaticamente i dati. Le caratteristiche cliniche includevano età, sesso, PIO, spessore corneale, spessore del nervo retinico, pressione sanguigna e BMI.

Tutti e tre gli algoritmi hanno ottenuto buoni risultati e sono stati in grado di prevedere in modo coerente la progressione del glaucoma e quando si sarebbe verificato, con un’alta precisione: dal 91% al 99%.

Le tre caratteristiche cliniche predittive più importanti erano la PIO iniziale (come atteso), la pressione sanguigna diastolica e lo spessore medio del nervo retinicoNaturalmente, vanno considerate alcune importanti limitazioni dello studio in questione, che restringono di molto la trasportabilità dei risultati alla clinica. Ad esempio, nello studio sono stati inclusi solo coloro con PIO normale, che non avevano ricevuto alcun trattamento per il glaucoma nel corso del monitoraggio; questi primi risultati, tuttavia, sono interessanti e certamente spianano la strada ad ulteriori sviluppi applicativi, che possiamo prevedere arriveranno a breve.

Cambia l’approccio alla gestione del diabete di tipo 2

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Infine, segnalo ai lettori una interessante review, pubblicata su BMJ Medicine, che fa il punto sui più recenti sviluppi nella gestione del diabete di tipo 2, patologia cardiometabolica cronica e progressiva che colpisce oltre il 10% degli adulti a livello globale e rappresenta quindi una causa significativa di morbilità, mortalità, disabilità e costi elevati.

Negli ultimi dieci anni, l’approccio alla gestione del diabete è cambiato, passando da un focus incentrato principalmente sul controllo della glicemia, mirato a ridurre i livelli di emoglobina glicata, a un approccio incentrato sulle complicanze, volto a prevenire le complicanze a breve e lungo termine del diabete, e a un approccio incentrato sulla patogenesi, che analizza la disfunzione metabolica legata all’eccesso di adipe, alla base della patogenesi e di molte complicanze nel diabete. Nella revisione appena pubblicata si esaminano gli ultimi progressi nella cura personalizzata del diabete di tipo 2, considerando gli approcci farmacologici e non farmacologici per ridurre i rischi di complicanze negli adulti affetti. Di particolare interesse è anche la trattazione degli effetti sulla gestione del diabete di vari determinanti sociali della salute, in particolare per quanto riguarda il trattamento dell’iperglicemia nel diabete di tipo 2.