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Pubblicato inSalute

Variante Omicron: cosa sappiamo fino ad ora

L’Organizzazione mondiale della sanità l’ha inserita nella lista delle Variant of Concern (Voc), ossia le varianti che destano maggiori preoccupazioni e, secondo gli esperti, potrebbe diventare dominante anche a livello globale scalzando Delta

Scoperta per la prima volta in Botswana, lo scorso 11 novembre, la variante Omicron è stata inserita tra le Variant of Concern (Voc) dall’Organizzazione mondiale della sanità. Le diverse mutazioni del virus, infatti, potrebbero avere un impatto sia sulla capacità di diffusione sia sulla gravità della patologia. In molti Paesi del mondo Omicron è già la variante dominante. Gli esperti dell’Ecdc, il centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, avvertono che la vaccinazione, da sola, potrebbe non bastare a prevenirne l’impatto. Misure non farmaceutiche potrebbero rendersi necessarie per contenere l’impatto di una nuova ondata.

Omicron tra le Variant of Concern

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Il 26 novembre, l’Organizzazione mondiale della sanità ha inserito Omicron tra le Voc (Variant of Concern) a causa delle diverse mutazioni in grado di influenzare il comportamento del virus in termini di diffusività e gravità della patologia provocata.

Secondo l’ultimo rapporto dei centri di prevenzione e controllo delle malattie, negli Stati Uniti Omicron sarebbe già diventata la variante dominante, con un’incidenza del 73% sul totale dei contagi in tutto il Paese. In alcuni Stati federali come la Florida, l’Alabama e la Georgia l’incidenza avrebbe superato il 95%.

Nelle scorse settimane la direttrice del centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), Andrea Ammon,  ha manifestato la sua preoccupazione. Secondo la Ammon, infatti, la probabilità di un’ulteriore diffusione di Omicron sarebbe molto elevata. Da sola, la vaccinazione potrebbe non bastare a prevenirne l’impatto.

Le caratteristiche della variante

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Ciò che desta maggiori preoccupazioni tra gli esperti sono le circa trenta mutazioni di Omicron che riguardano la proteina Spike, ossia la chiave d’acceso con la quale il virus entra nelle cellule e rilascia il proprio materiale genetico. Ciò, infatti, potrebbe avere un impatto su trasmissibilità, capacità dei vaccini di prevenire l’infezione e gravità della malattia.

Dai primi studi effettuati sembrerebbe che Omicron abbia livelli di trasmissibilità maggiori rispetto alle altre varianti. Non è ancora chiaro, però, se il virus possa causare forme più severe della patologia. Secondo quanto riporta l’Istituto superiore di sanità, i primi casi di infezione hanno riguardato persone giovani principalmente, che tendono a sviluppare forme lievi della malattia. Servirà raccogliere ulteriori dati per capire quale impatto possa avere la nuova variante in termini di ospedalizzazione. Non ci sono, invece, indicazioni, per il momento, sul fatto che le manifestazioni sintomatologiche associate a Omicron siano diverse da quelle delle altre varianti.

Malattia o due dosi di vaccino sembrerebbero non bastare

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Intanto, un nuovo studio dell’Imperial College di Londra pubblicato lo scorso 16 dicembre ha evidenziato come l’immunità ottenuta avendo contratto la malattia o avendo effettuato due dosi di vaccino sembrerebbe non bastare a frenare Omicron.

Secondo gli autori del report, Omicron avrebbe una capacità di reinfettare 5,4 volte superiore rispetto alla variante Delta. Alla luce di questo dato, la protezione offerta da un’infezione passata sarebbe pari ad appena il 19%. L’efficacia del vaccino contro l’infezione sintomatica, invece, sarebbe compresa tra lo 0 e il 20% dopo due dosi e tra il 55 e l’80% in seguito alla dose di richiamo.