La corretta alimentazione è un tema di grande importanza, specialmente quando si parla di prevenzione e promozione del benessere generale. Vale la pena pertanto, portare all’attenzione tre nuovi articoli che ritengo molto interessanti e rilevanti su questo argomento.
Il primo articolo
↑ topQuesto articolo ha in realtà una doppia valenza: si presentano infatti i risultati ottenuti con un regime alimentare che è stato disegnato contemporaneamente tanto per preservare la nostra salute, quanto per salvaguardare il nostro pianeta, attraverso la riduzione degli alimenti a maggior impatto ambientale in termini di consumo di risorse, di inquinamento e di emissioni di CO2 e altri gas climalteranti. Lo studio è stato pubblicato il 10 giugno appena passato da una rivista prestigiosa, The American Journal of Clinical Nutrition.
Nel 2019, la Commissione EAT-Lancet propose un modello alimentare che, insieme alla riduzione degli sprechi alimentari e al miglioramento delle pratiche agricole, aveva l’ambizione di poter nutrire in modo sostenibile la crescente popolazione globale. Nel nuovo lavoro, si è studiata l’aderenza delle persone a questo regime attraverso un indice denominato Planetary Health Diet Index (PHDI), e si è valutata l’associazione tra PHDI e mortalità totale e causa-specifica in 3 coorti di uomini e donne negli Stati Uniti. In particolare, sono state seguite 66.692 donne del Nurses’ Health Study (1986–2019), 92.438 donne del Nurses’ Health Study II (1989–2019) e 47.274 maschi dell’Health Professionals Follow-up Study (1986–2018) che al momento dell’arruolamento non avessero cancro, diabete e nessuna delle principali malattie cardiovascolari.
Durante lo studio, sono stati documentati 31.330 decessi tra le donne e 23.206 tra i maschi. Confrontando il quintile più alto con quello più basso di PHDI, il rischio di morte per tutte le cause, quello per malattie cardiovascolari, quello per cancro, quello per malattie respiratorie e quello per malattie neurodegenerative sono risultati tutti significativamente più bassi. Nelle donne, ma non nei maschi, il PHDI era anche significativamente associato a un minor rischio di morte per malattie infettive. I punteggi PHDI erano anche associati inversamente alle emissioni di gas serra e ad altri impatti ambientali, come atteso dal loro disegno
Abbiamo quindi un’ottima notizia: per la prima volta, uno studio pluriennale molto robusto dal punto di vista del suo disegno dimostra che, per lo meno in una popolazione che mediamente mangia male come quella degli USA, è possibile ottenere da un cambio di regime nutrizionale un grande beneficio per la salute e per l’ambiente, tutto sommato senza richiedere sacrifici che a taluni possono apparire molto pesanti (il regime alimentare prevede infatti anche il consumo occasionale di carne e latticini, e non è esclusivamente vegetariano).
Il secondo articolo
↑ topÉ stato rilanciato da moltissimi media globali come la prova che, anche spostandosi ad una dieta interamente vegetariana, in realtà non si ottengono necessariamente benefici per la propria salute, e se si consumano in particolari alimenti molto processati come i sostituti vegetali di carne e latticini, il rischio cardiovascolare cresce significativamente.
Lo studio, pubblicato sulla rivista The Lancet Regional Health – Europe, ha utilizzato la Biobank del Regno Unito, che include dati provenienti da partecipanti in Inghilterra, Scozia e Galles. Più di 118.000 persone di età compresa tra 40 e 69 anni hanno risposto a domande sulla loro dieta. Tali informazioni sono state successivamente collegate ai registri ospedalieri e di mortalità relativi allo sviluppo di fattori di rischio cardiovascolare. Secondo lo studio, gli alimenti ultraprocessati a base vegetale aumentano il rischio di malattie cardiovascolari del 5%, mentre aumentano il rischio di morte prematura del 13%. I ricercatori hanno anche scoperto che ogni sostituzione del 10% di alimenti ultraprocessati a base vegetale con piante fresche, congelate o minimamente trasformate riduceva il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari del 7%, offrendo allo stesso tempo una riduzione del 13% del rischio di morte per malattie cardiache.
Siccome lo studio ha incluso nell’analisi anche i prodotti sostitutivi della carne, come salsicce, crocchette e burger vegetali – tutti cibi che rientrano nella categoria degli ultraprocessati – molte testate a livello globale hanno desunto che i sostituti della carne, che dovrebbero aiutare a diminuire l’impatto ambientale e a migliorare la salute, possono essere in realtà dannosi.
In realtà, il diavolo è nei dettagli: il grosso degli alimenti di origine vegetale consumati dagli individui inclusi nell’analisi è costituito da cibi come maccheroni e formaggio in scatola, pizza vegetariana surgelata o patatine fritte da fast food e dolci glassati come i doughnut. Per questo, mentre è evidente che i cibi vegetali freschi e poco trattati sono benefici, mentre quelli ultraprocessati tendono ad essere peggiori, è molto difficile concludere da questo studio che le alternative alla carne a base vegetale siano dannose per la salute. Inoltre, molto di quanto riportato nel documento è già noto, ha affermato Tom Sanders, professore emerito di nutrizione e dietetica al King’s College di Londra, che non è stato coinvolto nello studio.
Il problema è lo sbilanciamento nutrizionale e la presenza di additivi, tanto nei cibi di origine vegetale che in tutti gli altri: un sostituto vegetale della carne, come qualunque altro alimento, può essere più o meno salubre a seconda del trattamento cui è stato sottoposto, della quantità di grassi, sali, zuccheri e altri additivi presenti, e non è in sé da evitare. Il ruolo benefico di questi sostituti all’interno di una dieta ben bilanciata, quando siano di alta qualità, resta quindi dimostrato sia per la salute (anche in termini di zoonosi potenziali, oltre che di effetti diretti) che per l’ambiente (per non parlare delle vite risparmiate, ma qui si entra su un piano diverso).
Il terzo articolo
↑ topPer evitare problemi di sovrainterpretazione dei dati e altri tipi di bias degli studi dedicati alla nutrizione umana, il terzo articolo è un Position Paper dell’Accademia delle Scienze della Nutrizione inglese. Questo articolo esamina il tipo di prove che è necessario porre alla base delle raccomandazioni dietetiche individuali. Gli autori evidenziano come la pratica della nutrizione e della dietetica deve integrare e applicare le scienze dell’alimentazione, della nutrizione, della biologia, della fisiologia, del comportamento, del management, della comunicazione e sociali per raggiungere l’obiettivo di incrementare o mantenere la salute. I quadri disponibili per valutare la qualità e la certezza delle evidenze della ricerca nutrizionale, le linee guida per lo sviluppo di pratiche nutrizionali evidence-based e l’influenza di altre fonti di informazioni nutrizionali e della disinformazione sono gli elementi principali esaminati dagli autori, i quali forniscono poi alcune raccomandazioni consensuali per iniziare ad affrontare queste sfide da parte di coloro che forniscono interventi nutrizionali agli individui, di coloro che finanziano, commissionano o intraprendono ricerche volte a fornire pratiche nutrizionali evidence-based e di coloro che diffondono informazioni nutrizionali agli individui.
La lettura del testo proposto è un potente vaccino contro il disordine informativo e la vera e propria disinformazione che appestano da sempre il settore delle scienze della nutrizione, ed è pertanto raccomandata a tutti.