Skip to content
Pubblicato inSalute

Trattamenti non convenzionali: le linee guida del Santagostino

La disciplina su tutti quei trattamenti che rientrano tra le terapie integrative come omeopatia e omotossicologia le quali, pur essendo largamente diffuse, spesso non sono supportate da prove convincenti di una superiorità rispetto al placebo

Omeopatia

In occasione dell’approvazione definitiva di un importante documento da parte del Santagostino, le “linee guida su terapie integrative e non convenzionali riconosciute a livello nazionale” (https://www.santagostino.it/downloadFile/131791), devierò un poco dall’usuale approccio, per spiegare a tutti il senso di tale documento, una “prima” a livello nazionale ed internazionale che merita certamente qualche riflessione.

Il documento, preparato dal Consiglio Scientifico con il prezioso contributo della Direzione Sanitaria, ha uno scopo preciso: disciplinare la somministrazione di tutti quei trattamenti definibili come complementari e integrativi – non alternativi, giacché quelli non sono comunque consentiti – in ambito medico nel Santagostino.

Terapie integrative e placebo

↑ top

Il punto di partenza è che per tali pratiche, pur largamente diffuse, spesso non esiste nessuna prova convincente di una superiorità rispetto al placebo. Se consideriamo per esempio l’omeopatia, l’omotossicologia ed altre simili trattamenti non convenzionali, la non superiorità rispetto al placebo è manifesta, ma è pur vero che l’effetto placebo è scientemente utilizzato da millenni, e negli ultimi decenni la ricerca scientifica ha approfondito a sufficienza le sue basi meccanicistiche per poterlo considerare più efficace rispetto alla mancanza totale di qualunque “atto medico”.

In generale, quindi, l’uso di un placebo è pratica medica non solo riconosciuta, ma anche di valore clinico, se operata nelle condizioni opportune e tenendo conto dei limiti deontologici usuali – non nuocere, non sostituire una terapia efficace ove sia richiesta, non indirizzare il paziente verso spese inutili e non necessarie ricorrendo a placebo costosissimi.

Ora, nel primo di questi limiti di uso del placebo e di qualunque trattamento medico – non nuocere – rientra anche non convincere né rinforzare nel paziente la credenza in sistemi di pensiero alternativi al pensiero scientifico/razionale e alla medicina basata sulle prove. In questo senso, l’obbligo deontologico di non nuocere ricomprende specificamente la proibizione della menzogna, in modo particolare quando quella menzogna rappresenta una forma di avvelenamento cognitivo che può portare un soggetto debole (il paziente) al distacco dalla realtà e al rifiuto della scienza, causandogli così un danno diretto.

Non a caso, il codice deontologico dei medici italiani afferma all’articolo 12 quanto segue:

[…] Sono vietate l’adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, nonché di terapie segrete. In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili.[…]

Non solo: all’articolo 55, troviamo quanto segue:

Il medico non deve divulgare notizie al pubblico su innovazioni in campo sanitario se non ancora accreditate dalla comunità scientifica, al fine di non suscitare infondate attese e illusorie speranze.

Di conseguenza, non solo pratiche la cui efficacia non sia riconosciuta scientificamente e non siano supportate da pubblicazioni approvate dalla comunità scientifica internazionale non possono essere adottate e diffuse come terapia efficace da un medico, ma neanche è possibile comunicare pratiche non ancora accreditate presso tale comunità, per evitare di ingenerare false speranze e danneggiare così i pazienti.

Trattamenti integrativi: l’importanza della trasparenza

↑ top

Un qualunque trattamento la cui efficacia sia giustificabile esclusivamente in base ai meccanismi neurocognitivi tipici dell’effetto placebo è dunque sì somministrabile, ma è necessario evitare di ricorrere a meccanismi non comprovati o a sistemi di pensiero alternativi a quello scientifico per giustificarne l’azione, perché la credenza in questi, che si caratterizza come una delle tante forme di pensiero magico, danneggia il paziente, portandolo spesso al rifiuto o alla diffidenza nelle terapie farmacologiche che potrebbero essergli necessarie.

È possibile somministrare un trattamento integrativo o complementare, è possibile cioè somministrare un placebo, senza mentire circa il modo in cui funzioni, senza cioè inventare condizioni inesistenti alla base della patologia e meccanismi di funzionamento altrettanto inesistenti e fondati su sistemi di pensiero magico non basati o peggio contradetti dalle prove scientifiche?

L’open label placebo

↑ top

Intanto, è sempre possibile per un operatore sanitario giustificare una certa prescrizione al proprio paziente utilizzando locuzioni quali “nella mia esperienza, questo potrebbe aiutarla”. Anzi, in moltissimi casi avviene così, che si somministri un farmaco o un placebo; questo perché il rapporto fiduciario tra medico e operatore sanitario è di solito sufficiente, senza necessità di inquadrare l’atto medico all’interno di una spiegazione del perché si fornisce una certa indicazione.

Inoltre, è bene ricordare che, anche per i pazienti più esigenti, che richiedono cioè spiegazioni, è in alternativa possibile ricorrere a quello che si chiama “open label placebo”. Anche una recentissima metanalisi (https://www.nature.com/articles/s41598-023-30362-z#) , che ha preso in considerazione 20 studi e 1201 partecipanti (a partire da una selezione iniziale di 3573 articoli scientifici), conclude infatti che, sebbene i meccanismi alla base del funzionamento dell’effetto osservato vadano ancora studiati, il cosiddetto il placebo somministrato come tale (“Open label”, appunto) funziona. Come sostengono gli autori di questa metanalisi, molto si deve fare per migliorare la qualità degli studi in tema; ma questo, ovviamente, vale anche per gli studi dello stesso effetto placebo, che sia “open” o meno.

Dunque, sulla base dello stesso livello di solidità delle prove, se l’effetto placebo serve da un punto di vista terapeutico – come la maggior parte della comunità scientifica ritiene – allora esso non necessita di menzogne e infingimenti. Non serve, cioè, la costruzione di una pseudoscienza o di una scienza falsa per ottenere benefici pari al placebo da una pillola omeopatica o dall’applicazione delle mani di un terapeuta; e considerando che invece pseudoscienza e falsa scienza sono dannose, come qualunque cosa adulteri la capacità di discernimento dei pazienti, è evidente la non eticità della somministrazione di tali pseudonozioni, anche quando si voglia sfruttare in buona fede l’effetto placebo.