Ogni genitore vorrebbe avere la certezza che, oltre a garantire una protezione nei confronti di malattie gravi, a volte mortali, all’atto della vaccinazione tutto vada per il meglio. Si sa che i vaccini sono sottoposti a rigorosi controlli per stabilirne sicurezza ed efficacia, si sa che il rischio di reazioni gravi di ipersensibilità (come lo shock anafilattico) per i vaccini attualmente in commercio è <1/10.000; come medico vaccinatore, mi sento però spesso dire: “ogni bambino è a sé, non si può generalizzare la risposta all’introduzione di un farmaco nuovo nell’organismo del piccolo”. Ben venga la voglia di informarsi a riguardo, quindi, purché nel modo corretto.
Da quando, nel 2017, il tema vaccinazioni è iniziato ad essere sulla bocca di tutti, alcune associazioni no-vax suggeriscono ai genitori dubbiosi o restii a far vaccinare i propri bambini di effettuare esami pre-vaccinali al fine di prevedere possibili reazioni avverse alle vaccinazioni, prima del consenso alla loro effettuazione. Ma è davvero possibile definire a priori la suscettibilità di un individuo al manifestarsi di gravi reazioni a seguito della somministrazione di un vaccino? Attualmente no, nessuno degli esami proposti ha un valore reale, in base agli studi scientifici a disposizione. Né l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), né l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) suggeriscono di sottoporsi a test genetici o simili prima di effettuare le vaccinazioni.
Esiste la possibilità, attraverso un colloquio ed anamnesi attenta, di identificare le situazioni che possono controindicare (in modo temporaneo o permanente) alla somministrazione di un vaccino. Questa è ad oggi l’unica misura necessaria a definire l’opportunità di effettuare la vaccinazione. Ricordiamo che anche nei rarissimi casi in cui si verificano reazioni gravi da ipersensibilità, l’evento si manifesta rapidamente dopo la vaccinazione e può essere gestito mediante somministrazione immediata di adrenalina da parte di un medico: questo è il motivo per cui si raccomanda di aspettare 15-20 minuti in sala d’attesa dopo l’inoculo del vaccino.
Test pre-vaccinali: quali sono e perché sono inutili
I genitori che, a ragione, decidono di informarsi sui vaccini che i loro figli dovranno effettuare, possono purtroppo leggere pagine online in cui si propongono due tipologie di test pre-vaccinali: esami di primo livello, come la ricerca di intolleranze/allergie, la tipizzazione linfocitaria e dosaggio immunoglobulinico, ed esami di II livello, che includono la tipizzazione HLA e l’analisi dei polimorfismi del DNA.
Capiamo quindi per quale motivo tali costosi esami sono inutili agli occhi di un operatore vaccinale:
- i test allergologici non hanno modo di mettere in luce possibili ipersensibilità ai vaccini a meno di somministrare una piccola quantità del farmaco (..e la quantità di liquido in un vaccino normale è di 0,5mL);
- lo studio delle sottopopolazioni linfocitarie è stato creato per indagini in chi ha una ben nota e confermata situazione di immunodepressione (cosa che anche un’attenta anamnesi può evidenziare);
- il dosaggio degli anticorpi si può usare per appurare la presenza nell’organismo di un’immunità già precedentemente sviluppata nei confronti dei patogeni per cui ci si vaccina (nel bambino non dà informazioni supplementari rispetto a ciò che è già noto: la presenza di anticorpi si attesta in seguito a vaccinazione o se la malattia è stata contratta. É importante sottolineare, ad ogni modo, che la vaccinazione di un soggetto che già presenta positività agli anticorpi in questione non rappresenta un rischio per la salute.
Proseguendo nell’analisi dei metodi di II livello, la tipizzazione HLA non ha alcun razionale perché, sebbene si sappia che alcune patologie sono più frequenti nei possessori di determinati antigeni HLA, questo non definisce se tali persone svilupperanno le malattie in questione; si può quindi intuire l’impossibilità di prevedere addirittura una connessione tra presenza di antigeni HLA e possibilità di sviluppare reazioni avverse ai vaccini o sintetizzare patologie autoimmuni.
C’è poi chi sostiene l’utilità dell’indagine sui polimorfismi (varianti genetiche) del gene che codifica per l’enzima MTHFR. Anche in questo caso, bisogna fare attenzione a non farsi ingannare: simili idee sono dovute al fatto che è stato ipotizzato un rapporto tra tali varianti genetiche e reazioni avverse in seguito alla somministrazione del vaccino contro il vaiolo che, come sappiamo, non viene più effettuato da quando alla fine degli anni ‘70 la malattia è stata debellata (grazie alle vaccinazioni!). Nessuna associazione è stata dimostrata con altri vaccini.
Al momento attuale i test pre-vaccinali sono quindi l’ennesima illusione che viene fornita a genitori preoccupati per le possibili reazioni da vaccino.
Un accurato colloquio con il sanitario che effettuerà la vaccinazione, prima della somministrazione del farmaco, è sufficiente a escludere potenziali situazioni critiche.
Riferimenti:
- Guida alle controindicazioni alle vaccinazioni. (V edizione – Febbraio 2018) a cura di Ministero della salute, Consiglio Superiore di Sanità;
- epicentro.iss.it/temi/vaccinazioni/pdf/LeDomandeDifficili.pdf a cura di Istituto Superiore di Sanità;
- General recommendations on immunization: recommendations of the Advisory Committee on Immunization Practices. 2011;60 (RR02):1-60 http://www.cdc.gov/mmwr/pdf/rr/rr6002.pdf a cura di Centers for Disease Control and Prevention (CDC).