Ne consumiamo in media il doppio di quanto necessario, aprendo le porte a problemi cardiocircolatori e di altro genere. Eppure basterebbe poco per ridurre il sale che consumiamo, senza rinunciare al gusto. Ne parliamo con le esperte del Santagostino.
↑ topSi svolge dal 20 al 26 marzo la Settimana mondiale di sensibilizzazione per la riduzione del consumo di sale, promossa dalla World Action on Salt & Health (WASH), per sensibilizzare sui problemi legati all’eccesso di assunzione di sale nella nostra dieta. «I livelli di assunzione di sodio raccomandati dall’OMS sono pari a 2 grammi, corrispondenti a 5 g di sale, ovvero il quantitativo di un cucchiaio da tè», spiega Francesca Michelacci, nutrizionista del Centro Medico Santagostino. «Mediamente se ne assume più del doppio. Solo il 10% del sodio è quello naturalmente presente negli alimenti, il 36% è rappresentato dal sodio “discrezionale”, ovvero quello che aggiungiamo agli alimenti, il restante 54% è costituito dal sodio presente negli alimenti confezionati, quest’ultimo è composto al 90% da sale e dal 10% da bicarbonato, glutammato o altri sali».
Si sa: il sale influisce sulla pressione arteriosa, provocandone l’aumento e quindi con i correlati problemi come infarto e ictus. Ma non solo: il suo consumo eccessivo è associato anche ad altre malattie come i tumori dell’apparato digerente, in particolare quelli dello stomaco, l’osteoporosi e la malattia renale cronica.
È evidente quindi che il consumo di sale va ridotto. Ma non solo “tagliando” quello aggiunto in fase di condimento, ma soprattutto, spiega Michelacci, «limitando l’apporto di cibi come: dadi da cucina, salatini da aperitivo, formaggi stagionati, cibi industriali e/o confezionati, insaccati, salumi, snack salati e dolci, minestre liofilizzate, pesci e carni sotto sale, alimenti in salamoia, alcune salse e conserve (ad esempio salsa di soia). Ridurre gradualmente l’aggiunta di sale alle pietanze può facilitare il cambiamento verso un’alimentazione meno salata; dopo un po’ il palato si abitua ad un gusto più naturale degli alimenti, riscoprendo anzi il vero sapore dei cibi».
Bisogna fare molta attenzione alle etichette dei prodotti trasformati: «È importante ricordare i nomi di alcuni ingredienti che indicano la presenza di sale come: cloruro di sodio, bicarbonato di sodio, fosfato monosodico, glutammato monosodico, nitrato e nitrito di sodio», avvisa Michelacci. «Tutti questi ingredienti contengono il sodio, anche se in una quantità inferiore rispetto a quello contenuto nel sale da cucina»
Per chi soffre di ipertensione, aggiunge Maria Cristina Varotto, dietista del Santagostino «è fondamentale ridurre progressivamente l’uso di sale, sia a tavola che in cucina, fino a eliminarlo del tutto dalla dieta. Esistono in commercio delle alternative, ma prima di acquistarle, sarebbe meglio chiedere consiglio al medico». E per i insaporire i cibi?« Erbe aromatiche (come aglio, cipolla, basilico, prezzemolo, rosmarino, salvia, menta, origano, maggiorana, sedano, porro, timo, semi di finocchio) e spezie (come pepe, peperoncino, noce moscata, zafferano, curry), esaltare il sapore dei cibi usando succo di limone o aceto», aggiunge Varotto.
Il poco sale che si continuerà a utilizzare nella nostra dieta deve essere iodato: «Il sale integrale contiene pochissimo iodio; quello iodato è invece l’unico ad avere un contenuto tale da garantire un apporto corretto con la dieta e, soprattutto, da non renderlo controindicato nelle persone che soffrono di malattie della tiroide come l’ipertiroidismo», spiega Elisa Verrua, endocrinologa del Centro Medico Santagostino. «La carenza di iodio rappresenta uno dei più gravi problemi di sanità pubblica, crea disturbi in tutte le epoche della vita, ma è estremamente importante che le donne in gravidanza, in allattamento e i bambini sotto i tre anni, ne assumano quantità sufficienti».