La nostra salute è profondamente influenzata da quel che accade dal momento del concepimento fino al primo anno di vita. Ecco perché gravidanza e parto rivestono un ruolo fondamentale sul futuro nel nuovo arrivato. Ed ecco perché serve un approccio basato su una dimensione più umana
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di Letizia Parolari e Paola Scavello
Come i media ci hanno riferito negli ultimi giorni, nel nostro Paese nascono sempre meno bambini e sembra che sempre più coppie soffrano di infertilità.
Il numero di figli, nel mondo occidentale, è molto limitato per scelta (uno o due al massimo), il parto cesareo sta salendo in percentuale rispetto al parto per via vaginale e l’allattamento al seno è estremamente ridotto nella durata.Sembra quasi che le donne non siano più capaci di far nascere bambini e qualcuno arriva a dire che quando una funzione fisiologica non si esercita, la stessa si va indebolendo…
Procedendo così non corriamo il rischio che si concretizzino scenari come quelli descritti da Aldous Huxley nel suo libro “Il Mondo Nuovo” in cui la produzione in serie viene applicata anche alla riproduzione umana, resa completamente extrauterina, con embrioni umani prodotti e sviluppati in apposite fabbriche secondo quote prestabilite?
Fortunatamente vi sono luoghi in cui il pensiero corre in altre direzioni, verso, cioè, un’ecologia della riproduzione e della nascita, una ricollocazione di questo evento così naturale, ma anche così segnato culturalmente, in una dimensione più “ umana”.
Di questo si è discusso in un recente seminario tenuto dal medico ginecologo e scrittore Michel Odent che gestisce a Londra il Primal Health Center per lo studio delle problematiche della salute materno-infantile .
La tesi di Odent, già dagli anni 80, è che la nostra salute nell’età adulta è modellata da ciò che è avvenuto dal concepimento al primo anno di vita e da come si sono costruiti e interfacciati il sistema nervoso, il sistema endocrino e quello immunitario da lui chiamati “sistema adattativo primario” .
Come fanno altre più recenti correnti di pensiero, le ricerche di Odent sono volte a studiare la genesi della “ buona salute” cioè a studiare in profondità le basi della fisiologia durante la gravidanza, il parto e il primo anno di vita del bambino/a per aiutare gli individui a mantenere attivi i circuiti della buona salute individuando quelli che sono gli snodi cruciali su cui si può lavorare in modo positivo.
Il parto
Secondo Odent la donna è in grado di partorire con le sue risorse biologiche endogene, quando “mette a tacere” l’area neocorticale del cervello, la parte anatomica più recente dell’evoluzione dell’uomo, che sostiene il controllo razionale dei nostri comportamenti. Durante il parto quest’area diventa un inibitore potentissimo ed è capace di influenzare negativamente l’andamento del parto fisiologico. Per questo motivo nei luoghi dove la donna partorisce andrebbero eliminati tutti gli stimoli attivatori dell’area corticale come ad esempio la luce intensa, i dialoghi con la paziente che la costringano all’attenzione, l’osservazione ravvicinata. Il ruolo dell’operatrice/operatore che assiste al parto dovrebbe essere quindi “di protezione” rispetto all’invasività del mondo esterno in modo che la donna possa recuperare la sua istintualità corporea che la può portare a partorire nel modo migliore per lei.
La gravidanza
Questa protezione probabilmente andrebbe fornita già durante la gravidanza e , a livello culturale, ancora prima. Oggi invece l’atteggiamento corrente dei professionisti è orientato a porre l’accento sulla malattia, a fare i controlli per cercare le cose che non vanno e la famiglia o il gruppo di persone che circonda la futura mamma si presta allo stesso gioco: ogni minima variazione rispetto a quanto scritto sui tabulati degli esami, complice Internet, diventa la spia di una possibile patologia in arrivo.
D’altro canto invece le operatrici/ori la cui priorità è proteggere lo stato emotivo della futura madre si pongono in una prospettiva di ascolto e di osservazione della fisiologia della gravidanza. È solo comprendendo lo svolgersi di questi processi nel corpo di quella singola donna che si lavora nella direzione giusta di rafforzare le sue competenze e intervenire positivamente, lasciando che la fisiologia della gravidanza e del parto faccia il suo corso ed intervenendo invece quando si accertano ostacoli autentici che necessitano di un intervento medico.
L’ascolto
Un altro punto di vista interessante è quello di Jean Paul Resseguier, fisioterapista svizzero che ha introdotto un approccio originale alla relazione terapeutica. Semplificando molto il suo pensiero, possiamo dire che ha studiato gli effetti che la presenza/vicinanza consapevole del terapeuta ha, sulla manifestazione della fisiologia del corpo della persona di cui si occupa. Nella gravidanza questo si traduce in un’atteggiamento dell’operatrice/ore che dà valore al percepire della donna aiutandola a interpretare senza banalizzare, usando un linguaggio comprensivo e affettivo (non infantilizzante e paternalistico) che è quello che caratterizza la maternità. Quando una donna è libera parla di quello che sente a livello corporeo, usa un linguaggio razionale, descrittivo, ma connesso ai suoi tessuti fisici, alle sue reazioni organiche (mi batte il cuore forte, sento premere sul fianco, sento pigiare sull’osso pubico, ecc); è importante partire da quello che dice, perché è quello che percepisce, quindi è vero per lei. Da lì si può partire nel compito di valutare se la gravidanza e /o il parto si stanno svolgendo nell’ambito della salute, o della patologia.
Nel parto è molto frequente che situazioni dove la paura, ma anche la percezione effettiva del dolore o dell’attraversamento del bambino nel proprio corpo creino blocchi e tensioni reali fisiche, -per esempio del perineo o del diaframma respiratorio – che inducono delle vere distocie. È necessario quindi lavorare indirettamente, creando le condizioni per cui la donna trovi degli adattamenti posturali o di respiro o possa ricevere contatti e massaggi, che spesso sbloccano la causa e fanno riemergere la fisiologia. Questo è possibile se c’è una relazione di fiducia e di affidamento, altrimenti non si è più “maieutici” ma controllori. È poi importante toccare il corpo della donna con rispetto, ma percependone bene la fisicità, la massa, avendo uno sguardo d’insieme di quel corpo, dalla testa ai piedi. Quando la donna si sente considerata globalmente si fida di più, di se stessa e della situazione in cui si trova. Questo fa lavorare meglio anche la parte istintiva, il corpo cerca di far emergere la fisiologia, cerca di “correggere” la patologia.
È importante non svalutare o banalizzare mai quello che la donna racconta di sé, di quello che percepisce, perché questo rinforza la sua competenza e la allena a non separarsi dal corpo (oggi che siamo molto “testa”) e durante il parto il corpo si fa sentire! Anche l’operatrice/ore sta meglio, si sente in uno scambio interessante con la persona di cui si occupa e questo crea quella corrente di energia positive che trasformano l’esperienza di mettere al mondo un bambino/a in un regalo che la donna fa a sé stessa e al suo partner e che tanto servirebbe a tranquillizzare gli operatori dallo spettro delle ricadute medico legali che oggi galleggiano nell’aria di molte sale parto.