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Pubblicato inGenitori

Paracetamolo in gravidanza: sì o no?

Il paracetamolo è il farmaco di riferimento per il trattamento del dolore e della febbre, anche in gravidanza. A patto che ne venga fatto un uso consapevole e moderato, nel rispetto del dosaggio consentito e delle indicazioni del medico curante.

paracetamolo-gravidanza

L’utilizzo di farmaci, compreso il paracetamolo, in gravidanza è spesso oggetto di discussione. Quali medicinali possono essere assunti e quali andrebbero evitati?

Per quel che riguarda il paracetamolo, i medici sono generalmente concordi nel considerarlo un rimedio sicuro per gestire dolore e febbre durante la gestazione, purché sia assunto nelle dosi raccomandate. In gravidanza, infatti, l’attenzione alle dosi e alla frequenza di assunzione diventa ancora più stringente, per garantire la salute della madre e del bambino ed evitare possibili rischi per quest’ultimo.

Approfondiamo allora quale sia l’uso corretto che bisogna farne, con l’aiuto del dott. Rosalbino Mantuano, ginecologo del Santagostino. 

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Quanto paracetamolo si può assumere in gravidanza?

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Il paracetamolo è un farmaco largamente utilizzato come antipiretico e analgesico, e anche durante la gravidanza può essere assunto in sicurezza. A patto che, come per ogni medicinale, lo si faccia con criterio, sotto consiglio del medico e nel rispetto della posologia e dei tempi segnalati.

La dose consigliata per le gestanti non dovrebbe mai superare la quantità massima giornaliera indicata per gli adulti, vale a dire 3 grammi al giorno. Solitamente, si suggerisce di assumere una compressa da 500 mg ogni quattro ore, senza eccedere le sei compresse al giorno, oppure un grammo (corrispondente a due compresse da 500 mg o una da 1000 mg) ogni otto ore.

È importante inoltre limitare l’utilizzo del farmaco alla durata minima necessaria a gestire i sintomi; di conseguenza, in caso di disturbi persistenti, è sempre bene rivolgersi al proprio medico o ginecologo per ricevere delle indicazioni specifiche sul da farsi.

Paracetamolo durante la gravidanza: ci sono controindicazioni? Quali rischi comporta il suo utilizzo?

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Il paracetamolo è controindicato se vi è ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti o altre sostanze strettamente correlate dal punto di vista chimico; in particolare verso altri analgesici e antipiretici.

Se consumato in quantità superiori a 3 grammi giornalieri, può sovraccaricare e danneggiare il fegato, poiché viene metabolizzato a livello epatico.

Quanto agli effetti sul feto, alcuni studi condotti negli anni hanno suggerito una correlazione tra il consumo prolungato di paracetamolo da parte della madre durante la gravidanza e alterazioni nello sviluppo neuropsicologico e fisico del bambino. Secondo quanto osservato, un abuso di paracetamolo potrebbe associarsi, in particolare, a un aumentato rischio di insorgenza dei seguenti disturbi:

  • deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e altri disturbi del comportamento
  • anomalie nello sviluppo psicomotorio e del linguaggio
  • alterazioni dello sviluppo urogenitale e riproduttivo nei bambini: ridotti livelli di testosterone, che possono predisporre a criptorchidismo (vale a dire, la mancata discesa dei testicoli nello scroto) e sterilità.

È emerso che la durata dell’assunzione è un fattore critico: i rischi sopracitati sono strettamente connessi a un utilizzo prolungato del farmaco. Al contrario, un consumo breve e limitato è generalmente ritenuto sicuro. Data la complessità delle possibili conseguenze, è fortemente raccomandato consultare sempre un medico prima di assumere paracetamolo durante la gravidanza, per valutare attentamente il rapporto rischio-beneficio in base al proprio stato di salute e ai propri bisogni.

Quali farmaci si possono usare in gravidanza?

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Una guida al corretto uso dei farmaci in gravidanza è stata messa a punto da AIFA, Agenzia italiana del farmaco, per rispondere ai dubbi più frequenti sull’argomento e fornire consigli pratici.

È fondamentale, in ogni caso, che queste indicazioni vengano sempre rapportate al parere del medico curante, che, conoscendo nel dettaglio la situazione clinica della paziente, può valutare l’opportunità di una cura farmacologica ponderando i benefici e i rischi connessi.

In linea generale, in alcune circostanze, l’assunzione di medicinali può essere facoltativa, come nel caso di un comune raffreddore; in altre, invece, diventa necessaria per prevenire conseguenze per la salute della madre e del bambino. Rientrano in quest’ultimo caso le terapie farmacologiche per patologie croniche, che non devono essere interrotte, ma tutt’al più adeguate – sempre su suggerimento del proprio medico – sulla base delle specifiche condizioni ed esigenze connesse alla gravidanza.

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Quali antidolorifici si possono prendere in gravidanza? Cosa prendere in gravidanza al posto della tachipirina?

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Durante la gravidanza, il paracetamolo (principio attivo della tachipirina) è il farmaco di prima scelta per il trattamento del dolore e della febbre, se impiegato per utilizzi sporadici o cure di brevi periodi. 

Qualora vi sia una resistenza o allergia al paracetamolo, è consigliabile consultare il medico per individuare eventuali terapie alternative.

Gli antinfiammatori non steroidei (FANS) – tra cui ibuprofene, acido acetilsalicilico indometacina – possono essere utilizzati nel primo e secondo semestre ma con cautela, per il minor tempo possibile e al più basso dosaggio efficace. Sebbene non vi sia un legame diretto tra questi farmaci e un incremento del rischio di malformazioni congenite, alcuni studi indicano una possibile correlazione con un aumentato rischio di aborto spontaneo, soprattutto se assunti nelle prime settimane di gravidanza. Pertanto, un approccio prudente è raccomandabile.

È cruciale evitare l’uso di FANS dopo la trentesima settimana di gravidanza. Durante l’ultimo trimestre, questi farmaci possono infatti causare la chiusura precoce del dotto arterioso di Botallo nel feto. Questo è un vaso sanguigno che collega il tronco dell’arteria polmonare all’aorta discendente prossimale, e nel feto in via di sviluppo la sua pervietà (ovvero la sua capacità di assicurare il fisiologico deflusso del sangue) è di vitale importanza per la circolazione sanguigna prenatale.