Una ricerca in Australia conclude che è inefficace per il trattamento di qualsiasi patologia. Ma allora perché così tante persone la scelgono? Non sarà perché la medicina “tradizionale” spesso non sa dare le risposte giuste ai pazienti?
Bene: il metodo scientifico ha decretato che l’omeopatia non funziona, o almeno uno studio davvero “potente” statisticamente dice questo. È la voce più forte che abbiamo a disposizione nel panorama della discussione, e dobbiamo integrarla nelle nostre riflessioni, a prescindere del nostro “partito ” o “fede” di appartenenza.
Un domanda sorge spontanea: ma allora cosa succede a tutte quelle persone, milioni, che si curano e continuano a curarsi con l’omeopatia? Come è possibile che pur peggiorando e non migliorando, come da evidence based ci aspetteremmo che fosse, siano soddisfatte del trattamento e ripongano in queste cure, più in generale nella medicina alternativa, la fiducia e la speranza per la vita?
Cerchiamo di utilizzare alcuni fatti per muovere la riflessione; partendo dal comportamento delle persone.
I comportamenti delle persone.
Le persone spesso hanno irrazionalmente paura della tossicità delle prescrizioni della medicina tradizionale.
Le persone, davanti ad un sintomo a-specifico, ( i.e. tosse, cefalea, stanchezza, sintomi intestinali, pallore, tachicardia, ansia, insonnia, mancanza di concentrazione, calo del desiderio sessuale, inappetenza) cioè potenzialmente imputabile a differenti condizioni eziopatogenetiche, spesso si auto-diagnosticano un problema, e provano a porvi rimedio senza passare dal medico, almeno in un primo momento, puntando su ciò che ” al massimo non mi fa nulla ma nemmeno male”: la strada soft della medicina alternativa. Questo comportamento è molto presente fra le mamme circa i sintomi dei figli.
Le persone cercano riferimenti in cui credere. Hanno bisogno di trovare rifugio da paure, senso di smarrimento e incertezza, hanno bisogno di avere fede in qualcosa, e, culturalmente, la nostra società ha messo pesantemente in discussione il totem del camice bianco, spalancando paradossalmente le porte al mondo dell’alternativa. Le persone si riferiscono così a professionisti che spostano l’attenzione lontano dal riduzionistico mondo scientifico, ponendo l’accento sulla persona più che sulla patologia, in un clima relazionale che tendenzialmente è più carico di attenzione, accudimento, comprensione della persona nella sua globalità.
Le persone cercano una risposta precisa alla loro condizione, sempre! Non accettano il ” non so” “non capisco bene”, preferiscono credere spesso ad una spiegazione “alternativa” che però ha la presunzione di dire “questa cosa che lei sente esiste per questo motivo”, trasformando teorie personali anche bizzarre in fatti.
I medici tradizionali hanno paura di dire “non ho capito”, “non riesco a fare una diagnosi precisa”, vanno in ansia da prestazione se non giungono ad una causa formulando quindi una diagnosi chiara e quindi proponendo una terapia mirata. E spesso hanno atteggiamenti di evitamento, tensione, irritazione, quasi nei confronti dei pazienti, come fosse colpa loro.
I medici alternativi spiegano con convinzione assoluta come mai la medicina tradizionale fallisce e al contrario la loro prassi è efficace dettagliando una chiara evidenza eziopatogenetica che spiega l’efficacia del dato rimedio alternativo.
Alcuni fatti:
Più del 25% dei sintomi per cui i pazienti si rivolgono ad un medico rimangono senza riposta diagnostica,
Molte condizioni cliniche (30%) si risolvono senza un cura specifica, in maniera spontanea. Parliamo di influenze, dolori muscolari, forme d’ansia, sintomi autoimmuni, sintomi cardiologici, e molti altri.
Le diagnosi sono sempre ( SEMPRE) delle astrazioni rispetto alla realtà, sono convenzioni tassonomiche, come i valori di riferimento degli esami del sangue (che cambiano da laboratori a laboratorio, negli anni); quindi esiste dell’altro oltre la diagnosi, che spesso spiega risposte ai trattamenti inaspettate, eccezioni, difformità rispetto alla regola dell’andamento della malattia.
D’altro canto si può parlare di depressione moderata, di tiroidismo subclinico, di ipertensione borderline, di entità patologiche moderate, che effettivaemente esistono nell’esperienza clinica di tutti i giorni, ma che possono giovarsi sia di interventi sullo stile di vita, sia di interventi medicali tradizionali, sia di interventi più soft e meno tradizionali.
Esiste una zona grigia di conoscenza della medicina, ancora molto ampia, fatta di sofferenza che non trova nel medico una risposta chiara, perché ancora non abbiamo capito tutto dei nostri malati. In alcuni ambiti, come la psicologia e la psichiatria, arriva quasi al 100%: in questi ambiti chiunque dica “questo sintomo esiste per questa causa” sta mentendo, non esiste alcuna evidenza chiara e completa sull’eziopatogenesi.
Esiste l’effetto placebo, che non è fatto solo di pura soggezione e produce effettivi risultati, non sempre, non duraturi, ma effettivi, talvolta ( 45%), comparabile alla cura effettiva, almeno nel breve termine.
Conclusioni
La medicina alternativa non è la panacea e non funziona meglio ( forse non funziona proprio). È possibile che nella prassi clinica della medicina alternativa i pazienti trovino quello che cercano in quanto persone: speranza, fiducia, ascolto, sensazione di accudimento e presa in carico. Più che nella medicina tradizionale, forse oggi colpevole di non sapere come gestire il “non ho capito cosa ha, non so darle una risposta” e ancora troppo concentrata sulla malattia e non sul malato.
È possibile che nella prassi clinica della medicina alternativa più che sulla patologia i pazienti percepiscano un beneficio sulla zona grigia della conoscenza scientifica, fatta di sintomi specifici, di risultati che sono imputabili non tanto alla bontà della teoria (si badi bene: teoria, non evidenza scientifica) alternativa, quanto alla bontà della prassi del rapporto cura-malato.
I medici alternativi dovrebbero smettere di vendere ai malati certezze sulle presunte cause “alternative” del sintomo o del disagio.
Noi tutti, medici alternativi e non, dovremmo accettare una certa ignoranza della medicina, alternativa e non; cercare di capire meglio cosa facciamo, su cosa, come e per chi, accettando che molte delle cose che facciamo funzionano, non sappiamo bene perché e su che cosa, ma funzionano, danno un beneficio alle persone.
Forse, noi tutti medici, dovremmo guardare con occhi diversi, al malato e non solo alla malattia, misurare il risultato non solo sulla tassonomia della malattia, ma non perché questo processo è difficile allora tutti siamo autorizzati a cercare la strada dell’alternativa, quella in cui anche noi scienziati, finiamo per credere con atteggiamento fideistico, per scappare dalle nostre paure.
Foto [CC BY 4.0], via Wikimedia Commons