Lo studio della nostra storia evolutiva e delle relazioni che esistono tra il comportamento dell’essere umano e degli animali a noi geneticamente più vicini, i primati non umani, ha evidenziato in modo ormai chiaro diverse convergenze nei comportamenti sociali. Comportamenti quali la cooperazione, la reciprocità (se tu fai un piacere a me io poi la faccio a te), il riconoscimento degli stati emotivi e molti altri sono un bagaglio di competenze che caratterizza in modo così spiccato i primati, umani e non, che la rilevanza di tali comportamenti per la nostra sopravvivenza è ormai fuori discussione.
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Se prendiamo in considerazione aspetti più “mondani” relativi alla socialità, troviamo ulteriori conferme di quanto le relazioni siano cruciali nelle nostre vite. Probabilmente molti di noi hanno provato, almeno una volta, la penosa sensazione generata dall’essere stati esclusi da un gruppo. Similmente, ognuno di noi saprà, almeno per sentito dire, che l’isolamento (fisico e sociale) nelle pene carcerarie costituisce un ulteriore aggravio della pena da scontare. Inoltre, ognuno di noi conosce il piacere che si prova a sentirsi accolti e valorizzati in un gruppo, che sia amicale o di lavoro.
Queste brevi considerazioni ci suggeriscono fondamentalmente due cose: la prima è che il nostro cervello, nel corso dell’evoluzione, ha sviluppato una serie di competenze sociali che proprio perché sviluppatesi sono verosimilmente utili alla nostra sopravvivenza e al nostro benessere; la seconda è che l’uso di tali competenze può influire sulla nostra qualità di vita.
L’isolamento sociale e il senso di solitudine, che rappresentano rispettivamente un’esperienza oggettiva e soggettiva di “disconnessione sociale”, sono due condizioni che tendono progressivamente ad aumentare negli anziani. Diversi studi hanno dimostrato che l’isolamento sociale e il senso di solitudine, in particolare se protratti nel tempo, costituiscono un fattore di rischio per il declino cognitivo nell’età anziana. Inoltre, un recente studio dell’Istituto Mario Negri di Milano condotto su un vasto campione di cittadini anziani europei ha evidenziato che alti livelli di isolamento sociale e senso di solitudine erano associati a un maggior rischio di sviluppare una condizione di fragilità, una sindrome geriatrica nella quale problemi clinici di modesta entità, come un’influenza o un’infezione urinaria, possono avere un grave impatto a lungo termine sulla salute e il benessere.
Un ulteriore aspetto da considerare è la possibile relazione che esiste, in particolare negli anziani, tra isolamento sociale, senso di solitudine e depressione. Un ampio studio condotto su un gruppo di cittadini spagnoli con un’età media di 66 anni ha evidenziato che un maggiore isolamento sociale può avere un impatto sul senso di solitudine acuendo la sintomatologia depressiva. Infine, diversi altri studi hanno dimostrato che l’isolamento sociale e il senso di solitudine sono fattori di rischio per l’ipertensione arteriosa, i disturbi cardiaci in generale e l’obesità.
Alcuni indicatori possono suggerire la presenza di un rischio di isolamento sociale o solitudine nell’anziano. Il National Institute of Aging americano ne indica cinque:
- vivere da soli o non avere la possibilità di uscire dalla propria casa (ad es. per una malattia o una disabilità);
- sentirsi soli o disconnessi dagli altri;
- aver subito un lutto o un importante cambiamento nella propria vita (ad es. un trasloco o una separazione);
- doversi prendere cura stabilmente di un’altra persona con disabilità;
- sperimentare uno stabile senso di mancanza di uno scopo nella vita.
La stabile presenza di uno o più di questi indicatori costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di effetti negativi legati alla solitudine e all’isolamento sociale.
Date queste premesse, si può ragionevolmente ritenere che la vita sociale e le relazioni più in generale sono aspetti che andrebbero presi molto sul serio, in particolare in età anziana. Infatti, tutte quelle situazioni che promuovono una socialità condivisa e gradevole, dentro e fuori casa, possono essere alimento per la nostra vita emotiva e relazionale, per la nostra mente cognitiva e anche per la nostra salute, proprio perché hanno un impatto sulla qualità della vita.
Come contrastare l’isolamento sociale e il senso di solitudine in età anziana?
↑ topI consigli possono essere molti e quello da seguire va valutato in funzione delle proprie caratteristiche: eccone sotto alcuni.
- Coltivare un’attività che ci piace o impararne una nuova in contesti dove incontrare altre persone che condividono lo stesso interesse.
- Fare una regolare attività fisica, l’esercizio riduce lo stress, migliora l’umore e accresce le nostre energie.
- Fare del volontariato, un’attività che fa sentire meglio aiutando gli altri.
- Cercare di rimanere in contatto con familiari, amici e vicini sia di persona che per telefono o con le nuove tecnologie.
- Considerare l’ipotesi di adottare un animale da compagnia, che può costituire una fonte di benessere oltre che aiutare a diminuire lo stress.
In generale, in età anziana la vicinanza di una persona, anche solo per poco tempo durante la giornata, può alimentare un senso di sicurezza utile a vivere in modo più sereno la propria quotidianità, contrastare il senso di solitudine e motivare all’azione.
In quest’ultima ottica si orientano alcuni progetti di cohousing intergenerazionale per anziani e giovani, tra i quali il nuovissimo servizio Santagostino Insieme, orientati all’empowerment della persona anziana, alla promozione di un invecchiamento attivo e al conferimento di senso alla condizione esistenziale della vecchiaia: tutti aspetti positivi che possono emergere dall’interazione fra giovani e anziani.
Santagostino Insieme mette insieme, dunque, la disponibilità di giovani studenti universitari con la voglia e l’esigenza degli anziani di passare qualche ora alla settimana in compagnia. Creare situazioni in cui giovani e anziani si relazionano nella quotidianità offre occasioni di supporto e crescita reciproca, può essere un’esperienza positiva per entrambi e costituire un’occasione di sperimentarsi in tipologie di rapporti che, in entrambe le fasi della vita, si ha meno occasione di vivere. Sicuramente, per una persona anziana può non essere facile adattarsi all’idea di coabitare con giovani non appartenenti al proprio nucleo familiare, passaggio che richiede un certo spirito di iniziativa e di adattamento. Tuttavia, se si riescono a superare le prime perplessità e a condividere delle chiare e semplici regole di buona convivenza (ad es. accettare reciprocamente le altrui differenze, rispettare e mantenere in ordine gli spazi comuni) l’esperienza può diventare un’ottima occasione di sperimentare uno degli aspetti della vita che, ad ogni età, riesce a offrire grandi occasioni di crescita: le relazioni sociali.