C’è una contraddizione profonda che attraversa l’idea di tumore presente nella società: da una parte infatti è esperienza comune conoscere persone che ce l’hanno fatta, che hanno superato la malattia o che l’hanno trasformata in una patologia cronica , con la quale convivere serenamente, e pensare quindi che un tumore non sia più sinonimo di morte certa, come la realtà dimostra. D’altra parte tuttavia la parola cancro evoca ancora timori quasi atavici e spinge chi riceve una diagnosi, magari di una forma molto iniziale o di una certa malignità, a intraprendere percorsi fatti di approfondimenti e di terapie non sempre indispensabili.
Tutto questo porta ad un eccesso di diagnosi e trattamenti, con indubbie conseguenze negative per tutti (malati, familiari, sistema sanitari).
Il cancro comunque deve essere combattuto e la diagnosi precoce ne rappresenta uno strumento, ma perché sia davvero efficace, è bene sottoporsi ad esami giusti e di provata utilità. Sono infatti pochi gli screening scientificamente approvati e sottoporvisi regolarmente è necessario, mentre non è utile pensare di fare con il proprio corpo quel che si fa con la propria macchina: il tagliando è infatti solo falsamente rassicurante. La strategia migliore è quella di rivolgersi ad un medico competente che, sulla base delle caratteristiche individuali e familiari e delle abitudini di vita, consiglierà gli esami da aggiungere eventualmente agli screening approvati per tutti.
Molti dubbi sull’efficacia degli screening sono sorti di recente: è indubbio che via via che le tecniche diagnostiche si affinano e che i programmi di screening di popolazione entrano a far parte della routine dei controlli cui molti cittadini si sottopongono aumenta anche il numero di lesione piccolissime, a volte di pochi millimetri, identificate. Alcune di queste vengono trattate come malattie conclamate e rientrano in quelle che gli esperti dell’OMS chiamano sovradiagnosi: diagnosi eccessivamente preoccupanti che portano, di conseguenza, a trattamenti inutilmente aggressivi.
Nel caso della mammografia in uno studio canadese pubblicato sul British Medical Journal nel 2014 è stato messo in discussione che possa salvare la vita alle donne nel senso che non ci sarebbe una riduzione della mortalità per tumore al seno se confrontato con la palpazione, anzi porterebbe a sovrastimare i casi e spingerebbe verso cure non necessarie. Alcuni Paesi come la Svizzera hanno da tempo smesso di promuovere programmi di questo tipo proprio perché non sembrerebbero incidere sulla sopravvivenza e porterebbero a trattamenti non solo inutili ma dannosi per gli effetti collaterali che comportano, oltre alla spesa sanitaria da sostenere. Certamente con gli screening sono notevolmente aumentate le diagnosi di carcinoma mammario cosiddetto “in situ” (carcinoma duttale in situ_DCIS o lobulare in situ_LCIS) ovvero tumori non evolutivi o comunque destinati a non manifestarsi nel corso della vita, che secondo diversi senologi non andrebbero operati ma osservati perché in molti casi non sono destinati ad evolvere; purtroppo lo strumento diagnostico per capire quando è veramente così non esiste ancora e pertanto molti altri esperti propendono per un trattamento tempestivo, trattandoli comunque precauzionalmente chirurgicamente o con radioterapia.
D’altra parte però tutti gli studi in questo settore sono soggetti a fattori confondenti; infatti i parametri per valutare l’efficacia di uno screening possono essere diversi, nello studio canadese era la sopravvivenza, criterio che ha intrinsecamente un limite quando si misura su un lungo arco di tempo (25 anni lo studio canadese, 90.000 le donne coinvolte): possono infatti nel frattempo insorgere altre malattie che possono portare alla morte e confondere i dati, oltre ad una doverosa considerazione sulle macchine: un mammografo di 25 anni fa non è come uno di oggi, il potere diagnostico di questi strumenti è migliorato notevolmente.
Si può comunque sostenere che questi studi sono utili perché inducono a ripensare ai modelli di screening e al rischio di un’eventuale estensione degli stessi, ad esempio coinvolgendo persone anziane e con un’aspettativa di vita non particolarmente alta, tenendo conto del rischio/ beneficio. Si dovrà inoltre in futuro saper sfruttare le positività intrinseche quali il controllo capillare e la gestione da parte di personale qualificato. Attualmente gli screening, il cui punto di forza è i grandi numeri ma che al contempo è anche il loro tallone d’Achille in quanto comporta uno sforzo organizzativo ed economico notevole, sono ormai scientificamente ritenuti significativi per la mammella ed il colon, mentre vi sono ancora numerosi dubbi per il cancro della prostata e del polmone.
L’erogazione dell’attività di screening organizzati per la prevenzione delle patologie oncologiche viene applicata sulla base della soddisfazione degli ancor validi principi di Wilson –Jungner (rivisti ed ampliati nel 1968 dal WHO), con l’obiettivo di diminuire la mortalità specifica e l’incidenza delle patologie tumorali nonché di facilitare l’accesso ad una prestazione di prevenzione a tutta la popolazione e gestire l’offerta delle prestazioni di prevenzione con criteri di appropriatezza.
In merito allo screening mammografico, grazie anche all’attuale dibattito per la valutazione del rapporto tra effetti positivi (riduzione della mortalità specifica) ed effetti negativi (sovra diagnosi e sovra trattamento) l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha redatto un position paper che convalida lo screening mammografico come efficace e sostenibile per la riduzione della mortalità per tumore al seno (a condizione del rispetto di criteri qualitativi nell’erogazione del programma di screening) ed in tal senso raccomanda, in contesti con alte risorse e con servizio sanitario organizzato, l’erogazione di un programma di screening mammografico per le donne 50-69 con chiamata biennale. Da segnalare inoltre il position paper ministeriale in merito al fenomeno dei cancri di intervallo ed alla formazione dei professionisti dello screening . Altra tematica di interesse è la definizione di percorsi efficaci ed efficienti per l’individuazione ed il monitoraggio di donne ad alto rischio eredofamiliare: sono presenti evidenze che definiscono vantaggioso l’attuare programmi di monitoraggio.
In Regione Lombardia l’offerta di screening oncologico prevede attualmente l’attivazione delle seguenti linee di screening: tumore della mammella, tumore del colon retto, tumore della cervice uterina.
Dal risultati delle attività dei programmi di screening in Lombardia sulla base dei dati aggiornati al 2013 (su rilevazione 2014) si evince che:
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Ogni 100 donne invitate, al netto delle escluse per test recente o patologia, 68 hanno aderito
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Ogni 100 pazienti screenate 96 sono negative, 6 sono positive e consigliate di sottoporsi ad ulteriori approfondimenti
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Ogni 100 pazienti positive che eseguono un approfondimento di screening a 8 viene diagnosticato un cancro, 92 risultano negative.
Infine ricordiamoci che la diagnosi precoce (che sarebbe corretto chiamare tempestiva) è ben diversa dalla prevenzione, che può avere un potenziale di protezione molto maggiore nel caso di alcuni tumori , come quello della prostata, e comunque va ad essa affiancata in un approccio corretto alla malattie.
È ormai ampiamente dimostrato infatti che gran parte dei tumori dipenda dallo stile di vita. Pertanto alimentazione, fumo di tabacco, attività fisica e sovrappeso, tra i principali colpevoli, dovranno essere monitorati e corretti; non si deve dimenticare poi la prevenzione di alcuni tumori attraverso la vaccinazione e la terapia farmacologica nelle persone più a rischio (chemioprevenzione).