Covid-19: chi lavora in sanità è molto più controllato della popolazione generale. Dispositivi di protezione, regole e protocolli, un livello di attenzione più alto, test periodici fanno sì che il personale sanitario sperimenti un tasso di infezione inferiore rispetto a quello delle famiglie e non rappresenti un elevato fattore di rischio di trasmissione per i parenti.
A questa conclusione arriva un articolo pubblicato sulla rivista internazionale International Journal of Infectious Diseases frutto di una ricerca promossa e finanziata dal Santagostino. La ricerca ha coinvolto complessivamente più di 100 persone, tra personale sanitario e loro familiari, che sono state monitorate utilizzando sia test sierologici rapidi che test quantitativi a dosaggio IgG anti-SARS-Cov-2.
I risultati pubblicati hanno dimostrato, per la prima volta in letteratura, che mediamente i familiari del personale sanitario si sono ammalati di più rispetto ai sanitari stessi: il 32% del campione dei familiari rispetto al 5% dei sanitari. Nel lavoro, condotto durante “la prima ondata” di Covid-19, quasi il 90% dei familiari infettati aveva un’età media di 42 anni e il 67% degli anziani aveva effettuato periodi di riabilitazione in strutture dedicate.
«La ricerca», spiegano gli autori dell’articolo Lorenzo Discoridi, medico del Santagostino e Chiara Carrisi, direttore operativo «nasce dal costante impegno del Santagostino non solo nel promuovere la diagnosi e lo screening del Covid-19 ma soprattutto nello sviluppare la ricerca in quest’ambito, in modo da contribuire agli sforzi dei gruppi di studio in tutto il mondo».
«Questo risultato, presentato su una delle riviste di malattie infettive più importanti in letteratura, ha permesso di sdoganare il pensiero – “la credenza” – che il personale sanitario fosse responsabile – come “untore”- della diffusione dell’infezione del Covid-19 in famiglia», aggiungono gli autori. «La nostra analisi ha dimostrato invece come i sanitari, protetti con dispositivi personali adeguati e attenti ad ogni possibile rischio di contagio, siano riusciti a limitare la trasmissione dell’infezione. D’altro canto, i familiari (tutti non impiegati in ambito sanitario) hanno avuto un’esposizione meno controllata e legata, almeno in parte, ad un livello di attenzione minore rispetto a medici e infermieri».