È stata un sasso nello stagno la circolare emanata dai presidi delle scuole medie in tutta Italia, in cui si chiede ai genitori, o a un adulto da loro delegato, di prendere in consegna i figli all’uscita da scuola. Questa richiesta ha provocato reazioni allarmate, stupite, arrabbiate, da parte dei genitori, e ha fatto emergere la necessità di aggiornare e specificare un quadro legislativo che considera i minori fino a 14 anni “incapaci” e quindi gli adulti imputabili del reato di “abbandono” se non li sorvegliano.
Oggi, a distanza di poche settimane, sembra che la questione si stia chiarendo dal punto di vista legale; forse le varie proposte di legge messe in campo condurranno a legittimare quello che si è finora ritenuto consono e messo in pratica da genitori. Sarà quindi meglio definito l’ambito in cui si esercita la responsabilità della scuola e quello in cui si esercita la responsabilità dei genitori, riguardo al tragitto scuola casa. Così i genitori potranno decidere come comportarsi con i loro figli.
Penso infatti che sia auspicabile una legge più chiara nei termini sopra indicati, che riconosca ai genitori il diritto di decidere riguardo al rientro dei figli da scuola, se accompagnati o no. I genitori hanno buone motivazioni pratiche per rivendicare questa autonomia. Mi auguro che nel nuovo assetto normativo non ci sia la necessità di “liberatorie”: non dovrebbe essere necessario liberare nessuno dalle sue responsabilità, ma dovrebbero essere meglio definiti gli ambiti entro cui esse si esercitano.
Chiarire gli ambiti di responsabilità è importante per gestire in modo collaborativo e costruttivo i rapporti tra l’istituzione scolastica e le famiglie, anche con riguardo ai compiti a casa, alle merende da consumare in classe, ecc.
Veniamo quindi all’autonomia dei ragazzi.
Poiché non ci sarà naturalmente nessuna legge che imponga di non andare a prendere i figli a scuola, i genitori decideranno, come hanno sempre fatto, valutando il livello di responsabilità che il figlio è in grado di assumere, nonché le possibilità dell’organizzazione familiare e le esigenze dell’ambiente di vita del ragazzo. Solo se hanno margini di scelta possono chiedersi quale comportamento favorisca la crescita, l’autostima, la possibilità di apprendimento del figlio.
In linea con la moderna pedagogia, che valorizza molto il raggiungimento dell’autonomia del bambino il più presto possibile, si può essere d’accordo sull’opinione che è importante permettere che il bambino torni da scuola da solo, appena lo si ritiene in grado. Non sto a ricordare qui i vantaggi per la sua crescita, che sono stati ampiamente evidenziati ultimamente in questa occasione. Vorrei invece cogliere l’occasione per sottolineare due aspetti più generali, e a mio parere fondanti, della questione dell’autonomia.
Il primo è che l’autonomia deve essere concessa in risposta a una richiesta. Nella relazione educativa questa richiesta può essere implicita da parte del bambino, ma è importante che l’adulto la cerchi, la riconosca insieme al bambino e mostri di prenderla in considerazione, perché solo a questa condizione il bambino potrà utilizzare l’autonomia concessa per nuovi apprendimenti, in un circolo virtuoso in cui una maggiore autonomia permette l’acquisizione di nuove capacità, che a loro volta stimolano la richiesta di una più ampia autonomia. Un’autonomia in un ambito non richiesto, al contrario, può essere vissuta come un abbandono o una svalutazione, e portare a comportamenti non adattativi, difensivi, di chiusura o di aperta ribellione.
Ecco perché l’autonomia per essere motore di crescita deve essere una conquista, non un dono.
Il secondo aspetto, speculare al primo, è che l’autonomia non è qualcosa che si può imporre, così come non si possono imporre la spontaneità e il senso di responsabilità. Sono tutte capacità che l’essere umano acquisisce gradualmente, utilizzando la sua dotazione personale di potenzialità psicofisiche e il suo bisogno di essere in relazione con gli altri, che è la molla più importante per la sua crescita. Sta agli adulti facilitargli l’accesso agli strumenti che la specifica cultura in cui si trova a vivere mette a disposizione, offrirgli occasioni per sperimentarsi in modi diversi nelle relazioni con l’adulto, con i pari, con l’autorità.
Non siamo noi che diamo l’autonomia ai nostri figli. Noi diamo degli strumenti, offriamo delle conoscenze, facilitiamo in tutti i modi la loro crescita, offriamo loro occasioni, ma l’autonomia la esercitano loro appena se ne sentono in grado. Perché è un piacere sentirsi autonomi. È un piacere simile a quello della ribellione, ma esercitato all’interno delle regole condivise anziché contro di esse.
L’autonomia non è né un bene né un male in sé; è un correlato del processo di crescita.