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Pubblicato inSalute

Microambiente tumorale, male radicale e male banale

Il microambiente tumorale riflette un conflitto tra l’individualismo cellulare e la cooperazione dell’organismo. Le cellule tumorali riattivano geni arcaici per sopravvivere, minando l’equilibrio evolutivo.

Microambiente tumorale

Quello del microambiente tumorale e delle sue interazioni con il resto dell’organismo è un mondo  scientificamente attrattivo e stupefacente, che evidenzia una programmata e perfetta malvagità delle cellule neoplastiche. 

È noto che all’inizio, circa due miliardi di anni fa, i primi organismi eucarioti erano solo unicellulari. La  selezione naturale e la evoluzione genetica favorivano ovviamente la sopravvivenza e la riproduzione delle  singole cellule, che erano entità autonome e indipendenti e dunque avevano un prioritario “diritto alla vita”. 

Con la successiva comparsa degli esseri pluricellulari, l’evoluzione lentamente modificò i propri piani e i  propri obiettivi, passando dalla prospettiva dell'”io” della singola cellula a quella del “noi” dell’intero  organismo e tendendo a selezionare, di conseguenza, attività biologiche che favorissero la preservazione vitale e riproduttiva dell’individuo nel suo complesso. 

Le cellule dei nostri organismi pluricellulari conservano tuttavia ancora, nel proprio arsenale genetico,  strumenti evolutivi arcaici, perfezionatisi ai tempi degli organismi unicellulari e finalizzati alla  sopravvivenza individuale delle cellule. 

Questo spiega perché, anche se i meccanismi della selezione naturale dovrebbero oggi favorire lo sviluppo dell’organismo in toto, attivando inesorabilmente la distruzione delle cellule tumorali e garantendo la serena convivenza di tutta la comunità pluricellulare, questo molto spesso non avviene e le neoplasie riescono lentamente a prendere possesso della globalità del corpo. 

Le cellule tumorali vanno infatti a ripescare – extrema ratio – quei geni antichi a cui abbiamo  precedentemente accennato, ormai ammuffiti e silenti, ma tuttavia ancora vitali e pronti a riattivarsi. Ciò al  fine di assicurarsi il mantenimento, ormai puramente egoistico, della propria esistenza, a scapito del  benessere complessivo dell’organismo. 

 Il passaggio dagli organismi unicellulari a quelli pluricellulari, senza ancora la completa eliminazione  evolutiva dei geni che difendevano ad ogni costo la vita della singola cellula, ha creato dunque una frattura tra la dimensione individuale e quella societaria delle cellule

Questo conflitto tra l’individualismo e la cooperazione, che induce le cellule neoplastiche a tradire e  ingannare quelle sane, sacrificando il bene comune al proprio interesse personale, probabilmente durerà altri milioni di anni, attenuandosi via via grazie a nuovi processi evolutivi, volti a favorire esclusivamente il  benessere e la capacità replicativa degli organismi complessi. 

I meccanismi biologici e molecolari che vengono attivati dalle cellule tumorali, non solo per protrarre la  propria esistenza ma anche – come in preda a un delirio di onnipotenza – con lo scopo via via sempre più esplicito di occupare e dominare l’intero organismo, sono assolutamente sbalorditivi e dipingono un quadro complesso di diabolica doppiezza e impietosa violenza. 

Il paragone storico e sociologico con la “violenza perfetta” dei sistemi totalitari – di qualsiasi tipo – è  dunque a mio parere assolutamente appropriato: un cancro inarrestabile e falsamente invitante si sviluppa, in  modo sempre più subdolo e permeante, all’interno della società democratica, che viene ipnotizzata, stravolta  e distrutta dalla cieca prepotenza. 

 La battaglia tra l’organismo sano e il tumore è perciò la metafora della lotta della democrazia contro  l’assolutismo, della libertà contro l’oppressione, della umanità contro la crudeltà, dell’amore contro l’odio,  della vita contro la morte, del male contro il bene.

Gianpaolo Andreoletti, “Microambiente tumorale, male radicale e male banale