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Pubblicato inSalute

Variante Delta, quanto sono efficaci i vaccini: il punto

Secondo l’istituto superiore di sanità un ciclo completo di vaccinazione sarebbe in grado di prevenire l’infezione nell’80% dei casi, evitando una forma grave della malattia nella totalità dei casi

I dati dell’anagrafe nazionale vaccini elaborati dall’Istituto superiore di sanità hanno evidenziato che il ciclo completo di vaccinazione contro il Covid-19 previene l’infezione nell’80% dei casi, evitando gli effetti più gravi della patologia in quasi la totalità dei casi.

Intanto, la variante Delta continua a correre in Europa. Nonostante non sia ancora la dominante in Italia – al momento la più diffusa nel nostro Paese resta la variante alfa (variante inglese) – la sua diffusione continua a destare preoccupazione.

Le caratteristiche della variante Delta

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La variante virale è il frutto di mutazioni che avvengono nel codice genetico quando il virus si moltiplica. Di conseguenza, più il virus si diffonde, maggiori saranno le probabilità che il suo genoma muti. Nel momento in cui le mutazioni si accumulano nel tempo, è possibile che il virus modifichi il proprio Dna al punto da dare origine ad una variante.

Per quanto riguarda il Sars-Cov-2, la variante che attualmente desta più preoccupazioni è la Delta, a causa della sua maggiore capacità di diffusione. Isolata per la prima volta in India, la variante Delta sta rapidamente prendendo il posto della variante Alfa (variante inglese). Questo grazie, per l’appunto, alla sua maggiore trasmissibilità. Secondo le indagini epidemiologiche condotte in Inghilterra, infatti, questo virus avrebbe il 50% in più circa di contagiosità rispetto alla variante inglese. Tale caratteristica sarebbe dovuta ad una mutazione in particolare, la P618R, responsabile del nuovo aumento dei casi in Inghilterra e nel resto d’Europa.

In Italia, secondo i dati più recenti diffusi dall’Istituto superiore di sanità, la diffusione della variante inglese sarebbe scesa al 57,8%. In crescita, invece, la variante Delta, con una prevalenza a livello nazionale del 22,7%.

L’efficacia dei vaccini

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Rispetto all’efficacia dei vaccini contro la variante Delta, notizie non troppo confortanti sono arrivate da Israele, dove il ministero della Salute ha diffuso i dati preliminari dello studio sulla capacità del preparato Pfizer di contrastare l’infezione.

Secondo quanto emerso dall’indagine, il vaccino si sarebbe dimostrato capace di bloccare le nuove infezioni nel 64% dei casi, ovvero circa il 30% in meno rispetto all’efficacia dimostrata contro il virus originale. Israele è il Paese con una delle più alte coperture vaccinali al mondo. Oltre la metà della popolazione, infatti – più di cinque milioni di abitanti su un totale di nove milioni – ha completato il ciclo vaccinale.

Secondo gli esperti, il vaccino non sembrerebbe aver perso efficacia, invece, nel proteggere le persone dalle forme più severe dell’infezione. In più, quasi un caso su due delle nuove infezioni registrate in Israele riguarderebbe i bambini, che non sono ancora stati vaccinati.

Ulteriori approfondimenti, dunque, saranno necessari oltre ai risultati definitivi di questi studi. Nel frattempo, però, la capacità delle varianti di diffondersi con più efficacia dovrebbe invitare alla cautela. Almeno fino a quando non sarà stata vaccinata una parte sufficientemente alta della popolazione da garantire l’immunità di gregge.

L’importanza di completare il ciclo di vaccinazione

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La vaccinazione, al netto della preoccupazione destata dalla diffusione delle varianti, resta comunque l’arma migliore a disposizione per combattere la pandemia. È importante, però, che il ciclo vaccinale venga completato il prima possibile in quanto la sola prima dose non sembrerebbe in grado di scongiurare il contagio.

A sottolineare questo aspetto sono stati due studi in particolare, pubblicati rispettivamente sul New England Journal of Medicine e Nature.

Il primo ha valutato la capacità neutralizzante degli anticorpi contro la variante Delta. Questa è risultata conservata nella maggior parte dei campioni di sangue sia di soggetti che avevano contratto l’infezione da tre mesi, sia di chi aveva già ricevuto la seconda dose di vaccino.

La capacità neutralizzante degli anticorpi sarebbe risultata preservata anche secondo lo studio pubblicato su Nature. Quest’ultimo ha analizzato i campioni ematici di soggetti vaccinati con doppia dose sia di Pfizer sia di Astrazeneca. Sarebbe risultata, invece, insufficiente la capacità neutralizzante delle persone vaccinate con una sola dose e dei soggetti che avevano sviluppato gli anticorpi in seguito a infezione naturale.

Foto di hakan german da Pixabay