- Che cos’è e a cosa serve lo screening in gravidanza?
- Quali sono gli screening in gravidanza?
- I test di screening prenatale non invasivi
- Che differenza c’è tra Bitest e dna fetale?
- Quanto costa lo screening in gravidanza?
Quello dello screening prenatale è un tema che da sempre genera dubbi e preoccupazioni. Quale test occorre fare? Quando si fa? Quanto costa?
Le opzioni a disposizione delle future mamme sono diverse. In questo articolo cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
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Che cos’è e a cosa serve lo screening in gravidanza?
↑ topLo screening prenatale identifica una serie di test volti a studiare lo sviluppo fetale in gravidanza e a individuare possibili anomalie.
Quali sono gli screening in gravidanza?
↑ topLo screening prenatale comprende test invasivi e test non invasivi.
I test invasivi esistenti comprendono:
- amniocentesi
- villocentesi.
Sono gli unici in grado di fare una diagnosi delle anomalie cromosomiche, cioè delle patologie che interessano il numero e la forma dei cromosomi nel feto. Tra queste le principali per frequenza e interesse clinico sono:
- la sindrome di Down (trisomia 21)
- la sindrome di Edwards (trisomia 18)
- la sindrome di Patau (trisomia 13).
Le indagini invasive (e diagnostiche) hanno però una percentuale di rischio di circa 0.5-1% di provocare un aborto. Per questa ragione, si è cercato di trovare test di screening non invasivi che facessero da spartiacque, che permettessero cioè di identificare chi è opportuno si sottoponga a procedure di diagnosi invasiva e chi invece (con ottima probabilità) può farne a meno.
I test di screening prenatale non invasivi
↑ topI test di screening prenatale non invasivi oggi disponibili vengono eseguiti nelle settimane di gravidanza corrispondenti al primo trimestre. Si tratta di due esami:
- il test combinato del primo trimestre (ultrascreen, duo test o bitest)
- la ricerca del dna fetale su sangue materno o NIPT (non invasive prenatal test).
La prima cosa da chiarire è che nessuno di questi test può eguagliare la diagnosi prenatale invasiva in termini di certezza del risultato. Questi esami hanno infatti solo la capacità di valutare il rischio di insorgenza di malattie genetiche e malformazioni nel nascituro, non di accertarne la presenza.
Tutti gli esami di screening non invasivi si valutano in relazione alla loro capacità di scoprire una certa patologia (che non sarà mai del 100%) e sono gravati da percentuali di falsi positivi e falsi negativi, proprio in relazione alla loro natura statistica. Nel caso di risultati positivi, ad ogni modo, i test non invasivi vanno confermati eseguendo un test invasivo, villocentesi o amniocentesi, con i quali vengono prelevati e analizzati rispettivamente un campione di placenta e un campione di liquido amniotico.
Il test combinato, ultrascreen o bitest
↑ topL’ultrascreen, duo test o bitest consiste in un prelievo di sangue per la ricerca di due proteine (pappa-a e frazione libera delle bHCG), associato a un’ecografia tra l’undicesima e la tredicesima settimana di gestazione, per analizzare i seguenti parametri fetali:
- la translucenza nucale (spessore retronucale)
- la presenza dell’osso nasale
- il rigurgito della tricuspide
- il dotto venoso.
La translucenza nucale permette di stimare il rischio fetale per le trisomie 13,18, 21, ma può essere indicativo anche per cardiopatie e sindromi che insorgono in seguito.
La percentuale di falsi positivi dell’ultrascreen è di circa 4-5%, cioè la possibilità che, dato un risultato di rischio alto, l’esito della villocentesi eseguita per conferma sia negativo.
La percentuale di falsi negativi è ancora più bassa, ma la negatività del test non può comunque dare la certezza che tale risultato corrisponda alla realtà. L’esito infatti viene espresso in termini di probabilità che l’evento si verifichi (per esempio 1:2500) e mai in termini di feto affetto/non affetto.
L’ultrascreen è sicuramente il test più usato e più conosciuto dalla letteratura internazionale. Presenta un detection rate (capacità di identificare l’anomalia) di circa 85-90% se eseguito da operatori esperti e dedicati.
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Il test del dna fetale su sangue materno
↑ topIl test del dna fetale viene effettuato, dalla decima settimana in poi, con un semplice prelievo di sangue periferico dalla madre, andando ad analizzare il dna libero all’interno del campione.
Questo tipo di test presenta una sensibilità e una specificità per la trisomia 21 superiore al 99% (99,3 per i falsi positivi e 99,8 per i falsi negativi) e leggermente inferiore per la 13 e 18 e per le alterazioni del numero (aneuploidie) dei cromosomi sessuali, come la sindrome di Turner e la sindrome di Klinefelter.
È sempre consigliabile che questo esame sia preceduto e seguito da una consulenza genetica, allo scopo di chiarire i limiti relativi alla sua esecuzione. Fra questi ci sono:
- gravidanza gemellare
- gravidanza eterologa
- casi di vanishing twins o sindrome del gemello scomparso, ovvero gravidanze inizialmente gemellari che vanno incontro poi all’aborto di uno dei due feti
- condizioni contingenti all’esame stesso che ne limitino la sensibilità o la specificità, come la percentuale di frazione fetale riscontrata o i mosaicismi placentari non diagnosticabili.
Sulla base di queste informazioni sarà possibile quindi prescrivere un’ecografia accurata tra l’undicesima e la tredicesima settimana eseguita da operatori esperti.
Utile, inoltre, fare un accenno alla possibilità di eseguire la ricerca del dna fetale su sangue materno per identificare malattie metaboliche rare e le più frequenti microdelezioni (anomalie cromosomiche dovute alla perdita di piccoli frammenti cromosomici). Questi test, tuttavia, non sono ancora validati in trial clinici e a oggi la loro utilità clinica non è comprovata.
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Che differenza c’è tra Bitest e dna fetale?
↑ topUltrascreen (Bitest) | Test del DNA fetale | |
---|---|---|
Quando si fa | Tra l’undicesima e la tredicesima settimana di gestazione | Dalla decima settimana in poi |
Come si fa |
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Prelievo di sangue periferico dalla madre per analizzare il DNA libero presente nel campione |
Cosa identifica | La translucenza nucale permette di stimare il rischio di:
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Il test può calcolare il rischio di:
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Precisione | Il test ha:
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La sensibilità del test è:
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Limiti | La negatività del test non garantisce un risultato certo, ma esprime solo una probabilità. | Il test non può essere eseguito in caso di:
|
Andando a confrontare i due screening, i vantaggi del test del dna fetale rispetto al test combinato sono dunque:
- un più alto valore predittivo sia positivo che negativo
- una inferiore percentuale di falsi positivi
- l’essere indipendente dall’epoca gestazionale: il test può essere utilizzato anche nei casi in cui non si è potuto accedere al duo test del primo trimestre per qualsiasi motivo contingente.
La Società Italiana di Genetica Medica, tuttavia, in considerazione della bassa prevalenza di queste patologie nella popolazione a basso rischio e dell’alto costo del test, continua comunque a consigliare il test combinato del primo trimestre di gravidanza come scelta più appropriata in questa fascia di popolazione (documento di indirizzo luglio 2016).
Quanto costa lo screening in gravidanza?
↑ topSia lo screening combinato sia il test del dna fetale non rientrano ancora tra i livelli essenziali di assistenza (LEA), ovvero tra i servizi e le attività che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire ai cittadini in forma gratuita o dietro pagamento di un ticket.
- Il duo test può avere un costo che varia dai 70 ai 250 euro.
- Il test di ricerca del dna fetale può oscillare invece tra i 300 e i 700 euro.