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Pubblicato inSalute

L’omosessualità? Non è un ostacolo alla genitorialità. Anzi…

Lo psichiatra Michele Cucchi: «Le coppie gay non sono diverse dalle coppie etero in termini di affidabilità per un’adozione. Per essere ottimi genitori bisogna sviluppare un grande senso di empatia. E in questo l’omosessualità da grandi vantaggi»

Attorno al Family Day e al percorso della legge sulle Unioni Civili si sta scatenando da mesi un dibattito politico dai toni spesso accessi.

Non discutiamo degli aspetti politici e religiosi di questo argomento, parliamo per un attimo solo di questo: essere omosessuali e coppia omosessuale è un vincolo, un limite, un impedimento alla genitorialità?

Analizziamo la questione cercando di far parlare i fatti.

Per essere ottimi genitori bisogna sviluppare un grande senso di empatia. Ci sono molti studi che suggeriscono come aver sofferto molto durante la vita o aver affrontato situazioni difficili (malattie, cambiamenti, lutti) ci renda più empatici e più predisposti ad ascoltare l’altro. In questo l’omosessualità da grandi vantaggi. Sono persone che spesso hanno sofferto molto, hanno dovuto affrontare la reazione emozionale dei genitori e del proprio ambiente alla dichiarazione circa la propria sessualità.

Sicuramente fra le persone omosesssuali ci sono numerosi casi di disagio emozionale, di difficoltà a trovare la propria identità, la propria strada; ci sono persone che a cavallo di questo valico tengono a bada le proprie paure estremizzando la loro differenza, adottando condotte talvolta bizzarre, dei boomerang che generano risultati opposti a quelli per cui vengono adottati, l’inclusione.

Esistono però anche molta sensibilità, molta cultura e molto rispetto per le differenze, l’integrazione e la società. Sono persone abituate a vivere il concetto di cultura minoritaria o sub-cultura, una condizione in cui il tuo modo di pensare, le tue paure, le tue esperienze sono condivise solo da una piccola parte del gruppo di persone in cui vivi e la leadership del gruppo, la direzione che prende, spesso non le tutela. Questo genera una costante tensione verso la giustificazione di ciò che si è, un costante mettersi in discussione per capire se effettivamente ha senso essere ciò che siamo. Questa condizione allena il cervello emotivo e regala alla persona non etero una prospettiva di favore sul conflitto sociale.

Chiunque obiettasse che, proprio per la loro storia travagliata e sofferta, queste persone non possono diventare genitori, dovrebbe provare a rispondere: “Quando una persona etero può essere definita idonea per diventare genitore?”. Vanno letti libri e acquisite conoscenze? Bisogna aver raggiunto autonomia emotiva, cognitiva ed economica? Bisogna aver imparato ad amare? Cosa di tutto ciò?

Ci sono poi le cosiddette credenze circa il concetto di “genere“. Esiste cioè il mito, un po’ sfumato e aleatorio, del vero uomo e della vera donna. Sarebbe interessante capire quali sono esattamente e se ci sono modi di essere uomo e donna migliori in termini di gentorialità. Siamo in una società in cui la famiglia ha virato rapidissimamente da un modello patriarcale ad un modello paritetico-emancipativo, ovvero se prima esistevano regolei fatte di tabù che indicavano con chiarezza chi fosse il capo famiglia, quale ruolo, sociale, lavorativo e affettivo dovessero avere la donna e l’uomo, ora è un gran caos in cui le istanze individuali vanno in perenne conflitto di interessi con quelle della coppia e della famiglia e non è tanto più facile, anzi, trovare un equilibrio e una traiettoria evolutiva adeguata. Oggi c’è un po’ la tendenza a vedere uomini che non portano più i pantaloni, che non riescono a sviluppare leadership, carisma, protezione del nucleo famigliare ma anzi, in difficoltà agonistica, vengono messi in discussione continuamente da donne che vogliono comandare ( talvolta sacrosanta richiesta). Nulla di male ad avere abbattuto certi tabù sociali, e ben venga questo rimescolamento di ruoli e posizioni. Ma siamo davvero sicuri che esista ancora il mito del vero uomo e della vera donna?.

Nel 1973 l’omosessualità fu rimossa dalla ” bibbia” degli psichiatri: il DSM, nell’allora versione II, ( Manuale Statistico Diagnostico delle Malattie Mentali). Prima questa caratteristica individuale era vista come una devianza.

Le coppie gay non sono diverse dalle coppie etero in termini di affidabilità per un’adozione. Questo lo dice la scienza.  I dati circa la qualità dei rapporti fra coppie omo dopo la riproduzione assistita ci dicono che la qualità è buona anche dopo l’esperienza della genitorialità e che i figli di coppie non etero crescano resilienti, in salute psicofisica e sociale, nonostante lo stigma e potenziali condizioni socio-economiche non ottimali.

Oggi credo che tutte queste informazioni, fatti e punti di vista ci debbano far riflettere su cosa sia veramente la genitorialità, cosa sia l’amore e come possano essere fatte evolvere le relazioni e le famiglie, che sono sempre progetti in divenire, in crescita e trasformazione. Non ci sono evidenze per pensare che la coppia omo o non etero che sia, sia un punto di partenza sfavorevole nella corsa verso la felicità. Cerchiamo tutti la stessa cosa e tutti abbiamo ostacoli da affrontare sul nostro percorso: la felicità non ci è garantita sulla base della nostra genetica o delle nostre inclinazioni sessuali. Ci dobbiamo sudare tutti, la nostra felicità, e forse le sub culture come le coppie non etero sono un opportunità in questa rincorsa.